9.5
- Band: VIRGIN STEELE
- Durata: 01:15:04
- Disponibile dal: 15/04/1998
- Etichetta:
- Noise Records
- Distributore: Self
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“I sing of Power, Magick and Faith, A Sonnet of Pure Victory”.
Potremmo lasciarla fare ai Virgin Steele stessi la recensione di questo album. Le parole riportate in apertura, estratte dall’incipit della poderosa title-track, sono infatti un’anticipazione degli argomenti dei quali David DeFeis canterà nelle successive quattordici canzoni: un inno alla Vittoria. Vittoria contro i nemici, contro gli dei, ma anche contro se stessi. Epici come pochissime band lo sono state prima, i Virgin Steele ci presentano con “Invictus” un’opera magna, un monumentale poema dedicato all’Uomo, al mito dell’eroismo e alla necessaria introspezione che serve per raggiungere la perfezione interna; una sorta di trasposizione in musica dell’ideale artistico di sculture greche come il discobolo o il celebre David di Michelangelo. Seguendo di soli tre anni l’immenso sforzo compositivo compiuto dalla band sulle due parti di “The Marriage Between Heaven And Hell”, la band di DeFeis e Pursino mette in campo nel 1998 il suo album migliore, monumento di un’epoca di epicità e classe che non tornerà più, punto centrale (e più alto) di cinque album splendidi, che hanno segnato dal 1996 al 2000 il periodo migliore della carriera della heavy metal band statunitense. Musicalmente “Invictus” sarà di esempio per schiere e schiere di fan legati alle sonorità del metal più classico ed incontaminato: i galoppanti riff di chitarra, il brutale pulsare di una sezione ritmica mai doma, i magniloquenti arrangiamenti e l’incredibile versatilità vocale di DeFeis rimarranno per sempre quali pietre di paragone per le future produzioni nel campo, rappresentando una visione colta e raffinata dell’epic metal tout-court proposto dai loro conterranei Manowar. Ed è proprio con quest’album che si confermano le distanze dalla produzione musicale di questi ultimi: teatrali e raffinati dove i Manowar risultano potenti e crudi, romantici e oscuri dove i Manowar mostrano violenza e annichilimento, i Virgin Steele si distaccano grazie ad “Invictus” anche nei testi, allontanandosi dal concetto dell’uomo che mostra la propria forza solo sconfiggendo i nemici, ma rappresentando invece i più complessi passi di un’epopea dello spirito, fino alla consacrazione del ‘guerriero’ come invece ‘uomo vittorioso’. L’inizio di questa epopea avviene dopo la narrata e guerresca intro con la possente title-track, che roboante fa partire un cinema di epiche battaglie e sentimenti struggenti, che non si fermerà prima dell’ultima canzone. La successiva “Mind, Body, Spirit” strizza l’occhio verso velocità e intrecci di un certo power made in USA, prima del capolavoro “Through Blood And Fire” e le sue telluriche ritmiche, su cui si staglia una voce invece delicata e bellissima. Il secondo capolavoro ci arriva con “The Sword Of The Gods”, uno dei momenti più alti dell’album, prima che la grezza “Defiance” ci ricordi quanto metal sanno essere i Virgin Steele. “Dust From The Burning”, “A Whisper Of Death” e “Dominion Day” sono gioielli di indiscusso valore, incastonati nel disco subito prima che “A Shadow Of Fear” (altro pezzo immenso) e “Veni, Vidi, Vici” chiudano definitivamente i settantacinque minuti di musica nella maniera più epica, lirica, teatrale ed ispirata possibile. Un must senza tempo, un capolavoro del metallo epico.