VIRGIN STEELE – The Passion Of Dionysus

Pubblicato il 26/06/2023 da
voto
5.5
  • Band: VIRGIN STEELE
  • Durata: 01:19:42
  • Disponibile dal: 30/06/2023
  • Etichetta:
  • Steamhammer Records

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Partiamo dicendo che gli americani Virgin Steele – per chi vi scrive e non solo – rappresentano per buona parte della propria carriera uno dei picchi più elevati mai toccati dall’heavy metal classico: la più raffinata ed elegante espressione di autentico epic metal, contaminato con orchestrazioni e trovate di classe in grado di proiettare buona parte dei loro lavori dritti nell’Olimpo, tanto per rimanere in tema di mitologia greca e altre tematiche tanto care al buon David DeFeis.
Il vero problema risiede nel fatto che, diciamo da dopo il già controverso “The Black Light Bacchanalia”, tutto ciò che concerne l’iconico combo di New York sembra essere andato a tracollare inesorabilmente: dalle uscite discografiche sempre più fiacche e prive di mordente, fino a delle esibizioni live a dir poco indecenti se paragonate al loro glorioso e indiscutibile passato.
Tuttavia, come si suol dire, la speranza è sempre l’ultima a morire, anche se già dalla terrificante copertina le vibrazioni trasmesse da questo “The Passion Of Dionysus” non sono esattamente le più eclatanti, e a ben pensarci anche la sola visione della tracklist impiega poco tempo per lasciarci un minimo intimoriti: solo dieci tracce, per una durata complessiva che si aggira attorno agli ottanta minuti buoni, per via della volontà di suddividere la scaletta esclusivamente in pezzi della durata superiore ai sette minuti, con un picco di ben dodici, ad esclusione di “A Song Of Possession” e della brevissima “Black Earth & Blood”.
Vogliamo partire proprio da queste due, in quanto sono le più immediate da approcciare del pacchetto: la prima fa sfoggio di un incedere piuttosto veloce, con tanto di doppia cassa, e dalla fortissima componente melodica enfatizzata anche dall’utilizzo delle tastiere, in piena tradizione power metal potremmo dire, con un risultato incredibilmente gradevole se preso nel suo complesso, a parte un paio di questioni inaccettabili che riguardano però l’intero album, e di cui parleremo dopo. Per quanto riguarda la seconda, si tratta sostanzialmente di una sfuriata di due minuti e mezzo in cui a spiccare è una batteria a rotta di collo piattissima, oltre che, probabilmente, finta.
Oltre a queste due tracce, il grosso della scaletta vede protagonisti brani davvero lunghi, in alcuni casi in maniera ingiustificata, e colmi di trovate compositive che, in un contesto diverso e con una cura migliore, potrebbero anche risultare interessanti, ma in questo caso l’infrastruttura musicale appare decisamente troppo fragile ed artefatta, con troppi momenti morti e altri in cui invece si percepisce un po’ di grinta, anche se il buon David col trascorrere degli anni ha decisamente visto deteriorarsi la sua ugola, col risultato di non trasmettere un feedback convincente nelle fasi più arrabbiate, e tantomeno in quelle acute.
Come compositore si percepisce ancora la sua preparazione, ma sono la coesione e l’esaltazione musicale a mancare quasi del tutto, in favore di una prolissità di fondo non motivata da una struttura dei singoli brani in grado di coinvolgere e/o stupire l’ascoltatore. Ad esempio, “You’ll Never See The Sun Again” è talmente scarica da non sembrare nemmeno un pezzo metal, con un falsetto abbastanza irritante a spiccare nelle parti vocali e un Edward Pursino che arranca alla chitarra, mentre “Spiritual Warfare” potrebbe anche avere qualche spunto vincente, ma viene allungata da una fase cupa che vorrebbe essere evocativa, ma finisce solo col risultare inutilmente pesante e dannosa. Similmente, “To Bind & Kill A God” sembra partire bene, con un riff al limite del power/prog in stile Symphony X, ma il tutto si affloscia irrimediabilmente su se stesso dopo pochi secondi. La title-track dal canto suo fa poco per risollevare il risultato, presentandosi come una sorta di semi-ballad di otto minuti stiracchiata e affaticante, che se fosse durata la metà avrebbe potuto avere un suo senso.
In tutto ciò, la parte peggiore dell’intero album risiede non nella tecnica o nel songwriting, ma nella produzione, che sembra gestita da un dilettante alle prime armi, del tutto incapace di dare una parvenza di efficacia o incisività ad un sound che appare confuso, fiacco e grezzo. Ci risulta difficile comprendere come sia possibile che un lavoro simile sia uscito sotto un’etichetta di tutto rispetto come Steamhammer, che all’interno del proprio repertorio vanta la presenza di numerose opere di pregevole fattura.
Facciamo a meno di descrivervi i pezzi mancanti e scegliamo di concludere qui la recensione affermando che è possibile vedere forse di un leggerissimo passo avanti rispetto a quanto fatto negli ultimi anni dai Virgin Steele, perlomeno grazie a un paio di soluzioni compositive piacevoli, collocate però in un contesto solido come un muro di carta e in cui a trasparire e la volontà di dire troppo, senza dire assolutamente nulla, e che per l’ennesima volta ci fa domandare come sia stato possibile per una delle band più magiche del panorama metal old-school smarrire completamente il sentiero tracciato a suo tempo con autentici gioielli scintillanti.
Personalmente, non vediamo motivo per consigliare ai lettori di cimentarsi nell’ascolto di questo disco, ma piuttosto, nel caso non lo aveste mai fatto prima, vi consigliamo di recuperare tutta la loro discografia passata: pressoché inattaccabile fino ai due capitoli di “The House Of Atreus” e poi tutto sommato decorosa fino al 2010, anno in cui il tracollo ha iniziato a farsi irrimediabilmente sentire.

TRACKLIST

  1. The Gethsemane Effect
  2. You'll Never See The Sun Again
  3. A Song Of Possession
  4. The Ritual Of Descent
  5. Spiritual Warfare
  6. Black Earth And Blood
  7. The Passion Of Dionysus
  8. To Bind And Kill A God
  9. Unio Mystica
  10. I Will Fear No Man For I Am A God
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