7.0
- Band: VISCERA///
- Durata: 00:51:07
- Disponibile dal: 30/11/2007
- Etichetta:
- Soulflesh Collector
- Distributore: Masterpiece
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Formatisi nel 2000, giungono ora al debutto sulla lunga distanza i cremonesi Viscera///, quartetto di estrazione grind/brutalcore messosi finora in luce nel sottobosco underground grazie ad alcuni split ed a un’intensa attività live a supporto di act quali Aborted, Dismember e Cripple Bastards. In occasione del primo full length i nostri hanno tuttavia deciso di allargare lo spettro delle proprie influenze, incorporando così all’interno del proprio sound atmosfere seventies e psichedeliche che vanno ad amalgamarsi alla matrice più estrema degli esordi. Sicuramente da lodare è la volontà della band di distaccarsi dagli stereotipi del genere, risultato che, alla luce di quanto fatto sentire in questo “Cyclops”, può dirsi pienamente raggiunto, al punto che risulta non facile catalogare all’interno di un genere ben codificato il contenuto musicale del suddetto platter. Volendo azzardare qualche termine di paragone si potrebbe pensare agli esponenti di spicco del post-metal (Cult of Luna, Isis, Neurosis e Pelican), ma il modo migliore per inquadrare la proposta dei nostri è quello di avvicinarsi ad essa con la mente libera da pregiudizi e lasciare che siano le canzoni a guidarvi alla scoperta dell’universo sonoro e lirico (in cui più attenti cinefili non faticheranno a riconoscere la citazione da “Videodrome” di Cronenberg posta in apertura) intessuto dalla band. E tale scoperta si rivela non priva di fascino di fronte ad episodi come “Keep On Bluesing Through The Stars”, nei cui 12 minuti la furia della precedente ultra-compressa “Focus, The First Eye” viene dilatata a dismisura in una girandola emotiva scandita da continui cambi di tempo e da un incessante magma sonoro, dove colate di riff zampillano e travolgono le orecchie attonite dell’ascoltatore. Ugualmente suggestiva è la seguente “Iris Overburden”, anch’essa caratterizzata da un saliscendi emotivo in cui il cantato sussurrato lascia il posto ad un vorticoso finale in cui a farla da padrone sono nuovamente le vocals gutturali e riff ultradistorti. La strumentale “Shape of God” fa da spartiacque ad una seconda metà del disco che vede invece i nostri sempre più intenti ad esplorare l’arte della sperimentazione: ne nascono così canzoni come la più muscolare “Few Years to Live” o la quasi interamente strumentale “White Flies Might Rule The Earth”, quest’ultima esemplare nella rilettura in chiave personale delle atmosfere care ai già citati Pelican. A chiudere il tutto troviamo la mantrica “Titan”, una psichedelica nenia lunga otto minuti che funge egregiamente allo scopo di calmare le acque dopo la proverbiale tempesta sonora a cui sono stati sottoposti i nostri padiglioni auricolari. Insomma, probabilmente è ancora presto per poter parlare di capolavoro, ma la strada intrapresa è sicuramente quella giusta: da tenere d’occhio.