8.0
- Band: VISION MASTER
- Durata: 00:38:27
- Disponibile dal: 25/08/2023
- Etichetta:
- Gates Of Hell Records
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Americani, ex musicisti dediti all’estremo (Funerot, per chi se li ricorda, noi francamente molto poco), influenzati ora dal metal più classico e retrò. Per una volta, insieme alla musica, abbiamo ricevuto una bio che non decanta chissà quali natali o azzarda chissà quali paragoni, ma centra perfettamente i Vision master e i quaranta minuti scarsi contenuti in “Sceptre”.
D’altronde la Gates Of Hell ci ha abituato, negli ultimi anni, a prodotti di grande qualità, ascrivibili a generi ben definiti: l’etichetta di Roma con artisti come Blazon Rite, Tentation, Herzel, Sordid Blade o Chevalier si è imposta come una delle realtà con maggior fiuto nel campo del metal classico e volutamente retrò, e con i Vision Master conferma il proprio talento, visto che “Sceptre” è un disco più che godibile fin dal primissimo ascolto.
I riferimenti ci sono tutti e vengono orgogliosamente messi in mostra, brano dopo brano, dal duo dallo stato di Washington: l’opener “Wolves In The Shadows” omaggia i Mercyful Fate, così come Mike Scalzi e soci riecheggiano in “Wet Net”, passando per Omen, Brocas Helm, Metal Inquisitor o certe melodie dei Voivod meno feroci. Notevole anche la marcia epica di “Walls Of Bone” e l’accelerata “Knife In A Velvet Glove” e ben presto ci si rende conto, ascolto dopo ascolto, di come questo album sia sufficientemente vario per non essere un clone pedissequo di questa o quella band, ma piuttosto un concentrato di un suono lungo quasi una decade, quella ovviamente con l’otto davanti.
Sulle prove individuali è sicuramente interessante la voce di Dan Munro: baritonale, talvolta aggressiva ma mai troppo urlata o troppo tecnica; il nostro è anche protagonista nelle chitarre, precise nel creare riff orecchiabili ma mai troppo scontati e l’opener “Wolves In The Shadows” è un delizioso bignami di matrice Shermann/Denner. Trovandoci davanti ad un duo e per ora non ad una band completa, della sezione ritmica si occupa invece Reuben Storey, che offre ai Vision Master più del solito accompagnamento.
“Sceptre”, attraverso i suoi dieci episodi, si rivela un prodotto più che interessante, ben prodotto e ben confezionato e si presta ad una riflessione finale: il recupero di sonorità già codificate di solito finisce per posizionarsi sulla creazione involontaria di cloni, ma questo sicuramente non è il caso dei Vision Master; altre volte si riescono a far uscire prodotti interessanti, che col senno di poi però risultano legati quasi del tutto alla nostalgia e al fan service, ma nemmeno in questo settore possiamo inquadrare il nostro duo; esiste una terza categoria infine – la più rara – che parte da coordinate ben conosciute per poi muoversi su territori come minimo personali e talvolta persino originali: Mike Scalzi e i suoi Slough Feg ancora una volta potrebbero essere la stella polare che i Vision Master dovrebbero seguire per fare un altro salto in avanti.
Le premesse ci sono tutte e perciò ci sentiamo di dire che il duo dell’Ohio potrebbe appartenere a questa nicchia, se confermerà il proprio percorso con dischi degni della qualità di “Sceptre” e magari aggiungendo qualche altro ingrediente.