6.0
- Band: VISIONS OF ATLANTIS
- Durata: 00:40:46
- Disponibile dal: 29/11/2004
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Il secondo album degli austriaci Visions of Atlantis si presenta agli occhi con una curata veste grafica curata dal noto illustratore Eric Philippe (Rhapsody, tra gli altri) che rende il cd appetibile a priori ai fan del fantasy. Nel sestetto figura una coppia di cantanti, la soprano Nicole Bogner e il singer Mario Plank, e da subito le coordinate musicali risultano più che evidenti: un sound piacevole, soft, rarefatto, easy listening che porta inevitabilmente alla mente i maestri Nightwish. Il paragone scontato coi nordici guasta non poco agli austriaci, che uscirebbero bastonati dal confronto diretto: la band della stupenda Tarja, infatti, risulta attualmente inarrivabile quanto potenza e classe compositiva. Dopo aver girato l’Europa con band del calibro di Katatonia, Finntroll, Edenbridge, e i sopra citati Nightwish, forti del momento di grazia del genere (Evanescence che vendono più di Britney Spears e gli autori di “Once” che fanno sold-out al Palamazda, chi mai l’avrebbe pronosticato…) i Vision Of Atlantis tentano il colpaccio con la loro interpretazione di bombastic symphonic metal, ispirati dal fantasy e dal mito di Atlantide, che a quanto pare li ha da sempre affascinati. Colpisce l’immediatezza delle composizioni, capace di essere apprezzate sin dal primo ascolto anche dai neofiti, ma sfortunatamente si parla di una immediatezza che pregiudica pesantemente la longevità del lavoro, che difficilmente entrerà nei vostri ascolti più frequenti a meno che siate esclusivi estimatori del genere. Principalmente composto da ballad e canzoni di atmosfera, la voce di Nicole fa decisamente la parte del leone, sufficientemente potente nei momenti lirici ma che può diventare avvolgente e mansueta nelle parti più lente, peccato che la controparte maschile sia decisamente innocua e non si muova aldilà della sufficienza. Le tastiere sono predominanti ed accentuano le influenze pop e AOR del sound. Se la sezione ritmica è discreta, la produzione penalizza in maniera drammatica le chitarre, quasi del tutto inudibili, spompate e piatte, fattore che grava pesantemente sul giudizio finale del disco. “Lost”, “Pharaoh’s Repentance”, “Lemuria” e “Winternight” (graziosa ballad con piano e archi dove la cantante dà il meglio di sé con una interpretazione decisamente avvolgente) sono i possibili highlight, ma c’è da dire che il resto può risultare insipido o decisamente piatto.L’originalità latita anche nel video di “Lost” dove la front-girl si veste addirittura come la “nostra” Cristina Scabbia, della quale però, purtroppo per lei, non ha le gentili fattezze. Il momento più divertente è stato scoprire il volto della singer usando come un gratta-e-vinci l’insopportabile bollino SIAE che copriva il volto di Nicole sul retrocopertina… ovviamente non abbiamo vinto, visti i già riportati lineamenti mediocri. Fondamentalmente non un brutto album, ci sono dei buoni spunti ma la produzione è tragicamente penalizzante e la band farebbe meglio a scrollarsi di dosso l’etichetta di Nightwish-cloni.