6.0
- Band: VOICES
- Durata: 00:48:07
- Disponibile dal: 27/04/2018
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Audioglobe
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Il problema di un album come “Frightened” non sta nella scrittura, né nell’esecuzione, né in quei difetti che rendono un disco brutto in quanto tale. Infatti, la terza fatica dei Voices non è, a dirla tutta, un disco brutto. No, quello che sembra essere il principale problema della band dei già e/o tuttora Akercocke Sam Loynes, David Gray e Peter Benjamin è, in realtà, un’aristocratica pretenziosità che appesantisce e sporca un progetto che potrebbe altrimenti essere gustoso come pochi altri. La questione non sta negli ingredienti ma nell’uso che se ne fa, e se gin e dry vermouth messi assieme compiono miracoli, è vero anche che nelle mani sbagliate possono farci ricredere dell’effettiva bontà di un Martini. Ecco che quindi quando i riferimenti, tra i più disparati e i più eclettici possibili (dai Joy Division ai Paradise Lost ai Celtic Frost agli ammiccamenti pop) si presentano in praticamente ogni solco del disco, sentiamo più uno stridire che altro, un senso di disorientamento e non di stupore, immersi come siamo nel mellifluo vortice un po’ paraculo che i Voices hanno apparecchiato per noi. In “Frightened” c’è molta forma, i brani non sono affatto scadenti e, manco a dirlo, sono suonati incredibilmente, giacché tutto si può dire a questa gente fuorché non sappiano come presentare un prodotto di qualità, ma è la sostanza che viene qui a mancare. La terza prova della band fallisce proprio nell’alleggerimento dei barocchismi presenti in “London”, che anzi già segnava uno scarto con il debut “Voices From The Human Forest Create a Fugue of Imaginary Rain”, e la cosa sembra paradossalmente più assurda ora che gli Akercocke sono tornati all’attivo (e con un disco abbastanza della madonna), cosa che poteva permettere, almeno sulla carta, ai Nostri, di limare molti degli spigoli e degli ‘effetti sorpresa’ tanto cari agli autori di “Reinassance In Extremis”. Invece i Voices sono andati da tutt’altra parte con un lavoro ben confezionato e che da lontano pare un’opera d’arte ma che, invece, si dimostra, a conti fatti, una messa in scena piuttosto ruffiana.