7.5
- Band: VOLAND
- Durata: 00:38:00
- Disponibile dal: 08/05/2021
- Etichetta:
- Xenoglossy Productions
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
La Storia con la S maiuscola è da sempre uno dei bacini più prolifici dal quale pescare la propria ispirazione musicale – e, naturalmente, le pagine più impregnate di sangue, tragedie e orrori sono state immortalate in lungo ed in largo nel panorama metal. Quello che non avevamo ancora sentito, però, è un concept sui regnanti russi cantato in due lingue da un gruppo italiano. Ricerca del ‘particolare ad ogni costo’? Forse, ma il terzo EP (uscito in formato digitale per ora ed in formato fisico il prossimo luglio per Xenoglossy) dei bergamaschi Voland è un piccolo gioiellino di black metal sinfonico, impreziosito da orchestrazioni azzeccate e stacchi epici, in grado di essere all’altezza dell’ambizioso compito che si prefigge: dipingere, con colori ora splendenti ed ora lividi, le figure di alcuni zar, l’alone di fervente adorazione quasi religiosa che li ha ammantati e gli spietati mutamenti di maree che hanno segnato spesso e volentieri la loro rovinosa caduta.
A differenza degli altri due lavori precedenti (anch’essi in formato EP) spalmati nel corso di tredici anni, “Voland III: Царепоклонство – Il culto degli Zar” ha una produzione in grado di restituire molto più spessore ai suoni, sia nei passaggi più efferatamente feroci che negli intermezzi orchestrali, mai totalmente avulsi dal corpo della canzone, facendo brillare ulteriormente il lavoro strumentale, anch’esso un bel passo più avanti rispetto al passato. Se infatti sulla carta possono venire in mente innumerevoli formazioni che nel corso della propria carriera hanno saputo coniugare efficacemente le propaggini più estreme del metal con un gusto sinfonico (dai Dimmu Borgir ai Septicflesh, passando per taluni Emperor, ad esempio, fino ad arrivare ai ‘nostri’ Fleshgod Apocalypse), i Voland (nella figura di Haiwas) anche riescono a bilanciare con la maestria dei veterani più navigati le parti più liriche, riuscendo a restituire sontuosi affreschi di sfarzo regale in grado di trasformarsi, con poche battute, in una cavalcata nerissima, furiosa e devastante, come nell’iniziale “Casa Ipatiev” che con il suo incedere cadenzato e minaccioso racconta l’esecuzione della famiglia dei Romanov (poi canonizzati dalla chiesa ortodossa) da parte dei rivoluzionari bolscevichi; la capacità di Rimmon di esprimere la grandeur del potere russo e la violenza di chi lo ha combattuto si evidenzia bene nell’alternanza di voci pulite, dai toni baritoni e cerimoniosi (torna in mente l’impronta litanica sdoganata dai Batushka) a quelli più aspri, rauchi e caustici, per non parlare dell’ottima capacità di amalgamare lingua italiana e russo (!) nei vari brani, dalla tragica “Promontorio” (ispirata alla figura di Stepan Razin, eroe del XVII secolo) fino alla magniloquente “Suite Russe”, forse più delle altre in grado di dipingere i nodi intricati di potere e venerazione tra venti gelidi di miseria, nobiltà, idolatria, rivoluzione, in un bellissimo unicum in cui batteria marziale e chitarre abrasive si fondono con violini, organo e melodie ipogee. Menzione a parte va infine per “Terza Roma” che, forte di un ritornello azzeccatissimo capace di stamparsi nella mente dell’ascoltatore al primo ascolto, va ad aggiudicarsi il titolo di pezzo migliore del lotto (comprendente anche due bonus track, “Dubina” e la bella “Leningrad”, suonate in presa diretta in studio). Nei sette minuti abbondanti di durata c’è spazio per tutto: unghiate velenose di chitarra ed un assolo davvero da pelle d’oca, una sezione ritmica (a cura di Riccardo Floridia e Geu, accreditati come ospiti) che non lascia scampo ed intermezzi orchestrali al tempo stesso minacciosi e carichi di gloria che si riflette, come il sole della canzone, sulle cupole dorate della ‘Terza Roma’ del primo zar.
Che sia aspettare un futuro full-length, un altro EP o la possibilità di vederli sulle assi di un palco, non importa: terremo d’occhio i Voland e i loro racconti della sterminata, impietosa, Russia. Consigliamo a chi ama il genere di fare lo stesso.