
7.0
- Band: VOLBEAT
- Durata: 00:44:10
- Disponibile dal: 06/06/2025
- Etichetta:
- Vertigo
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Dopo il successo globale di “Outlaw Gentlemen & Shady Ladies”, primo disco danese ad entrare nella Top della Billboard Chart dai tempi degli Aqua, i Volbeat hanno trovato la formula perfetta per quello che viene da molti definito ‘Elvis metal’ – un mix peculiare di metal, punk rock e rockabilly in grado di unire la potenza dei Metallica alle atmosfere vintage di Elvis Prisley e Johnny Cash – con un progressivo percorso di alleggerimento che ha toccato l’apice con “Rewind, Reply, Rebound”, salvo poi tornare su sonorità leggermente più heavy con il penultimo “Servant Of The Mind”.
Archiviata sotto traccia – non senza qualche polemica – l’uscita di Rob Caggiano, che aveva suonato in tutti gli album citati in precedenza, il trio guidato da Michael Poulsen torna dopo quattro anni con “God Of Angels Trust”, nono disco carico di aspettative esoteriche a partire dall’artwork di copertina e dai titoli ‘diabolici’ sparsi nella tracklist; eppure, di fatto si tratta del ’solito’ disco dei Volbeat, figlio appunto di una formula ormai rodata e che potremmo riassumere come un ideale compromesso tra gli ultimi due lavori in studio.
L’influenza dei Metallica del “Black Album” resta centrale a partire dal primo singolo “By a Monster’s Hand” e trova conferma nel riff serrato di “Demonic Depression”, baciata da un ritornello particolarmente ficcante, per chiudere in bellezza con “Enlighten the Disorder (By a Monster’s Hand Part 2)”, altro brano dotato di un bel tiro tra una rullata e l’altra.
L’atmosfera più leggera che aveva caratterizzato “Rewind, Reply, Rebound” trova viceversa piena espressione in canzoni dal taglio estivo come “Acid Rain” o “Time Will Heal”, dove Poulsen può dare libero sfogo alla sua vena più radio-friendly, raggiungendo nuove forme ibride nella punk rockeggiante “At the End of the Sirens” o nella più sinuosa “Lonely Fields”, carica di una allegria un po’ sinistra fino allo special di tastiera che sembra voler omaggiare il celebre tema portante di “Halloween” di John Carpenter.
La parentesi rockabilly di “In the Barn of the Goat Giving Birth to Satan’s Spawn in a Dying World of Doom” suona come un incrocio tra James Hetfield e Johnny Cash ma, al di là del divertissement del titolo e del buon lavoro alla chitarra solista del nuovo entrato Flemming C. Lund, risulta meno spontanea rispetto non solo ai classici del passato, ma anche alla più lineare “Better Be Fueled than Tamed”, un rockabilly a tinte thrash caratterizzato da un bel giro di basso in primo piano e ritmiche che di nuovo chiamano in causa i Four Horsemen.
Tutto formalmente perfetto, ma l’impressione è che manchi quella scintilla di eclettismo dei primi lavori o di voglia di stupire del loro apice qualitativo (il già citato “Outlaw Gentlemen & Shady Ladies” e il successivo “Seal The Deal & Let’s Boogie”): con “God Of Angels Trust” i Volbeat viceversa giocano sul sicuro, con una formula più addomesticata e dosata col bilancino nei diversi elementi, ma comunque vincente per arrivare al grande pubblico.
Se sono tra i preferiti di Hetfield e Ulrich, d’altronde, ci sarà un perché.