6.5
- Band: VREID
- Durata: 00:49:39
- Disponibile dal: 09/10/2015
- Etichetta:
- Indie Recordings
- Distributore: Audioglobe
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Sono passati undici anni dalla formazione dei Vreid, periodo costellato da ben sette pubblicazioni ufficiali, contando l’ultimo arrivato “Sólverv” descritto oggi sulle nostre pagine, e caratterizzato da un gusto alla mutevole sperimentazione che ha toccato in tutti i suoi diversi frangenti umori ed atmosfere estremamente variegate, anche se tutte riconducibili certamente alla generale radice black metal che, dai primordi negli anni ’90 a nome Windir fino ad ora, ha rappresentato il denominatore comune rispetto alle molteplici sperimentazioni folk, rock e progressive che la band ha vissuto album dopo album. Eravamo rimasti infatti all’emotività rabbiosa e ferita di “Welcome Farewell”, incentrato su sviluppi non convenzionali ed armonizzazioni decisamente differenti rispetto a quanto sentito fino ai precedenti “Milorg” o “V” o dal norwegian black metal in generale, che unito ad una particolare impostazione grafica presentata in immagini promozionali e video, aveva ulteriormente caratterizzato il gruppo rispetto alla connazionale corrente metal, andando a configurarsi come una delle realtà di punta della pur cangiante Indie Recordings. Trovandosi tra le mani “Sólverv” quindi, potrebbe essere non poco lo stupore di coloro che stavano seguendo con entusiasmo il percorso intrapreso dai norvegesi: pur presentandosi graficamente come il naturale successore del precedente lavoro, è subito palese fin dalle prime battute di “Haust” un generale inasprimento del contenuto musicale, una decisa sforbiciata con le derive più docili delle vecchie canzoni, un brusco e repentino richiamo alle sonorità evidentemente indimenticate dei capolavori composti con i Windir, che poco hanno a che vedere con il percorso stilistico intrapreso fino a poco tempo fa dai Vreid. A questo inatteso ritorno al passato infatti, fa da cornice anche una netta semplificazione di quelle che sono le trame musicali che accompagnano la voce ed i testi, elemento questo che se sarà sicuramente apprezzato dagli amanti della band della prima ora, dall’altra parte rischia di lasciare l’amaro in bocca dopo gli entusiasmanti sviluppi messi in atto in “Welcome Farewell”: è la stessa titletrack, così come “Geitaskadl”, escluso qualche trovata ritmica ad inizio brano un po’ spiazzante, a reclamare a gran voce un ritorno alle asperità poco rifinite e molto dirette di chiara matrice pre-Vreid, andando nel complesso a comporre un lavoro sicuramente più diretto rispetto al predecessore, ma privato forse di quella profondità che avevamo apprezzato recentemente. Naturalmente la band che ha composto i due lavori è la stessa, e lo dimostra un songwriting comunque fantasioso e ricco di atmosfere ed orchestrazioni di una certa classe (“Når Byane Brenn”), ma è come se si fosse deciso di minimizzare la complessità dei tempi di batteria, eliminare le sfumature vocali in favore di perenni screaming vocals monotonali e riportare in primo piano la crudezza arcigna del riffing delle chitarre (“Storm Frå Vest”). Credibile ritorno ad un passato ormai considerato irraggiungibile o ‘semplice’ passo falso per i Vreid? Difficile da dire, stavolta l’estro dei cinque norvegesi ha optato per questa soluzione; ne prendiamo atto, notando obiettivamente però un’eccessiva foga nell’eliminare proprio quelle rifiniture che avevano reso così particolare e progressivo l’evoluzione del gruppo nel corso degli anni.