6.5
- Band: VULTURE INDUSTRIES
- Durata: 00:40:04
- Disponibile dal: 16/06/2023
- Etichetta:
- Dark Essence Records
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Ci sono band capaci di rapirci al primo ascolto, altre che necessitano di attenzione e approfondimento prima di lasciarsi svelare in tutta la loro bellezza. E poi ci sono gruppi come i Vulture Industries, che, sulla carta, avrebbero tutte le potenzialità per diventare un nostro ascolto fisso e che invece, per qualche motivo misterioso, ci lasciano sempre con la sensazione di aver a che fare con un’occasione persa.
Sono passati sei lunghi anni dalla pubblicazione di “Stranger Times” e, stando alle note biografiche, la composizione del nuovo “Ghosts From The Past” ne ha richiesti addirittura quattro. La band norvegese ha portato avanti il suo percorso all’insegna dell’avantgarde più libero e difficile da catalogare, ma sono loro stessi a provare a dare un appiglio all’ascoltatore con una definizione certamente incompleta e parziale, ma efficace: i Vulture Industries vogliono essere una sorta di versione metallizzata e sperimentale di Nick Cave. Caspita, mica male come obiettivo. Il problema, però, nasce dal fatto che “Ghosts From The Past” non riesce affatto a raggiungere l’altezza del Re Inchiostro e l’unico punto di contatto vero e proprio con Nick è dato dal timbro del cantante, Bjørnar Erevik Nilsen, che in effetti sembra un mix tra l’artista australiano e Ian Astbury dei The Cult. L’impianto musicale, invece, si traduce in un discreto lavoro avantgarde metal, che rifugge le categorizzazioni più evidenti, mescolando stili ed atmosfere diverse, ma senza riuscire veramente a brillare. Così, le parti aggressive non sono mai davvero taglienti, i passaggi più sperimentali hanno sempre un certo retrogusto di già sentito e perfino l’utilizzo degli strumenti a fiato, come tromba e sassofono, viene relegato a puri elemento di contorno, senza diventare mai veramente protagonista. Paradossalmente, la band funziona meglio quando si lascia andare e confeziona dei bei passaggi melodici e accattivanti, come in “Right Here In The Dark”, con quel piglio dark che sa essere suadente e sinistro al tempo stesso. Tutto il resto, invece, si mantiene sempre su livelli dignitosi, ma senza sfociare mai davvero nell’entusiasmo. Peccato.