8.0
- Band: VULTURE
- Durata: 00:42:23
- Disponibile dal: 12/04/2024
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Se c’è una band, tra le frange della NWOTHM, in grado di combinare perfettamente il modello classico di certe sonorità, con la freschezza e la voglia di sorprendere, i Vulture la rappresentano in toto. Il ventaglio propositivo offerto dai cinque di Dortmund va infatti oltre la superficiale descrizione di speed metal: schegge di thrash d’oltreoceano schizzano qua e là tra passaggi più inclini all’ondata britannica dell’heavy di inizio anni Ottanta e sferzate adoranti il metallo nero targato Mercyful Fate; una ricetta rivista, rimodulata e continuamente affinata negli anni, che segna oggi un ulteriore passo in avanti.
Il qui presente “Sentinels”, quarto lavoro del quintetto tedesco, non solo replica la bontà del precedente “Dealin’ Death”, ma lo supera sul piano qualitativo, avvalorando le caratteristiche sopra riportate.
Il nuovo album cresce infatti ascolto dopo ascolto, riuscendo a manifestare tutte le sue molteplici varianti capaci di soddisfare i palati di più di un appassionato. Se già “Dealin’ Death” metteva in risalto un mix tradizionale heavy-speed ben marcato, così che la montagna russa innalzata dal gruppo tedesco potesse giocare su continui saliscendi, dando tregua alla nostra colonna vertebrale, “Sentinels” si pone con una duplice veste. Da un lato abbiamo un perpetuo salto nel vuoto lungo quaranta minuti, come se la lama sanguinolenta dei Volture avesse dato il taglio definitivo a qualsiasi timore reverenziale; dall’altro, ci regala una folle corsa lanciata su binari per nulla tortuosi o grezzi, bensì lineari e scorrevoli (leggasi ottima produzione), attraverso undici stazioni in grado di aprire accattivanti e singolari parentesi di stile.
A tal proposito, indossato l’abito da perfetto ferroviere, le fermate che caldamente vi consigliamo si chiamano “Realm Of The Impaler”, superba manifestazione della miscela heavy/speed/thrash prodotta dai repentini e melodici riff sciorinati dalla coppia Castevet ed Outlaw, “Where There’s a Whip (There Is A Way)”, altra preziosa gemma in cui si possono rintracciare strali ‘slayeriani’, in aggiunta all’incedere deciso e grintoso del refrain, “Der Tod Trägt Schwarzes Leder”, intrigante pezzo strumentale, dal sapore cinematografico diviso in due parti, la prima più malinconica, la seconda più arrembante (l’avremmo vista bene inserita come sigla di inizio/fine di un’ipotetica terza serie di “Ken il guerriero”), e sicuramente la title-track, con i suoi stacchi chitarristici alla Mercyful Fate, sui quali l’ugola tagliente di Steeler chiude una prestazione follemente calibrata.
Questi i pit-stop obbligatori, ma il suggerimento è quello di effettuare delle soste rigeneranti anche in prossimità di “Unhallowed & Forgotten”, “Oathbreaker” e della cattivissima “Death Row”.
Che altro aggiungere? Gli avvoltoi di Dortmund hanno colpito nel segno: saper rinnovare, ma soprattutto modernizzare una tradizione non è assolutamente una cosa semplice: loro invece sono riusciti, e bene, nell’intento. Scapocciamento inderogabile.