7.0
- Band: VULVECTOMY
- Durata: 00:40:04
- Disponibile dal: 11/04/2025
- Etichetta:
- Comatose Music
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Dopo una pausa discografica di ben dodici anni, periodo durante il quale il chitarrista Mario Di Gianbattista ha dato vita e sviluppato il progetto Devangelic, ecco i Vulvectomy riemergere dalla loro cloaca purulenta con un nuovo attestato di slam/‘brutal’ death metal dai toni lividi e dalle atmosfere oscene.
Musica che, sulla scia di un artwork esplicativo e di titoli sobrissimi quali “Scrotal Abscess Drainage”, “Geriatric Ass Fucker” e “Subcutaneous Cumshots”, non intende addolcire la pillola ai deboli di cuore o a chi – anche all’interno di un contesto estremo – preferisce non spingersi troppo oltre i limiti della decenza e del buon gusto, portando avanti un discorso che invita esclusivamente a prendere o a lasciare, senza eccezioni di sorta.
Appurata quindi la natura fortemente divisiva di questa nuova raccolta edita da Comatose Music, e ampliabile all’intero sottogenere, va dato atto al quartetto di essersi riaffacciato sulle scene con quello che è l’album più efficace e curato della sua carriera; una discesa fra liquami immondi e barbarie assortite che, nel suo aderire perfettamente ai canoni imposti da gente come Devourment, Torsofuck e Vomit Remnants, evidenzia un’attenzione non scontata per le soluzioni ritmiche e chitarristiche, le quali – pur non offrendo chissà quale gamma espressiva – scorrono e si incastrano con una vivacità di gran lunga superiore a quella di altre formazioni analoghe.
Di certo, giova qui tantissimo la presenza di un batterista (Marco Coghe, già visto all’opera con Posthuman Abomination, Devangelic e Corpsefucking Art) in sostituzione della drum machine adoperata nelle prime, rozze uscite discografiche, ma è anche il guitar work, grasso e percussivo come da manuale del filone, a suonare mediamente più contagioso e ispirato, dispensando parentesi serrate e ‘slammoni’ ipertrofici per un risultato complessivo scritto rigorosamente nel sangue e nell’ignoranza.
A legare il tutto, ovviamente, il growl da scarico fognario di Diego Fanelli, immutabile dall’inizio alla fine della tracklist e ulteriore guanto di sfida lanciato in direzione dell’ascoltatore, a convalida di una proposta che, prima ancora che apprezzata, andrebbe capita nel suo sguazzare e insistere nell’orrore, prendendo tutto ciò che è death metal e imbruttendolo fino al collasso.
Al netto del senso di esasperazione e uniformità, però, i riff ci sono, i breakdown funzionano, e il disco centra l’obiettivo di rilanciare il nome Vulvectomy nel circuito slam degli anni Duemila, ribadendo come un certo tipo di estremismo (pensiamo pure ai Vomit the Soul) vanti proprio in Italia alcuni dei suoi esponenti più rappresentativi e preparati. Se le sonorità descritte non vi repellono, fatevi pure avanti.