8.0
- Band: WARBRINGER
- Durata: 00:50:57
- Disponibile dal: 24/04/2020
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Giunti al sesto album in tredici anni, i californiani Warbringer sono ormai dei veterani della scena thrash. Della selva di aspiranti thrasher usciti allo scoperto sul finire negli anni ’00 del millennio, si sono rivelati tra i più resistenti e, soprattutto, tra i migliori nell’evolvere il suono da un classico thrash battagliero sporcato di rozzi estremismi, a una creatura che, senza venir meno alla propria carica guerranfonadaia, ha aggiunto armi meno convenzionali al suo arsenale. Come già la copertina parrebbe involontariamente suggerire, non vi sono stati grossi cambiamenti dal fortunato “Woe To The Vanquished”, se non l’ingresso di un nuovo bassista, Chase Bryant, a conti fatti non così influente nel determinare grossi scossoni al sound del gruppo. “Weapons Of Tomorrow” appare quindi come un ‘semplice’, riuscito, aggiornamento di quanto udito nelle ultime pubblicazioni. Ad averne, di album di così rassicurante lignaggio. Perché anche questa volta il quintetto di Ventura non tradisce le aspettative, pur mancando di apportare sostanziali novità si fa valere per il suo mix di violenza tracotante, pulizia esecutiva, capacità di intrattenimento e indomabile concretezza. Grosso modo le valutazioni che si potrebbero fare sono le stesse formulate per “Woe To The Vanquished”, anche se in questo caso la durata media dei singoli pezzi è leggermente aumentata, andando dietro a un’intraprendenza che, bel caso dei Warbringer, non ci pensa neanche per un attimo a spingersi verso una vera sperimentazione. E va benissimo così.
La band eccelle in qualsiasi contesto voglia mettersi all’opera, partendo lancia in resta con la classica opener tritaossa, “Firepower Kills”, tiranneggiata dal cantato sprezzante e fuori dai gangheri di John Kevill. Qui, come in “Outer Reaches”, “Unraveling”, sono le velocità smodate, al limite del death metal, a tenere banco, marce spedite e inarrestabili, condite di azzeccati stop’n’go, midtempo per scatenare cruenti mosh, brevi assoli utili a fomentare ulteriormente gli animi. Col passare dei dischi e il ripulirsi del suono – non a discapito della potenza, andata addirittura in crescendo – un’epica sanguinaria si è fatta strada nel connotare la musica dei Warbringer: “The Black Hand Reaches Out” è tutto un programma da questo punto di vista, un duello ad armi pari con gli Exodus e i Testament delle ultime prove in studio. Nella parte centrale dell’album, ecco ricomparire quegli andamenti avvolgenti, le sfumature cupe e le atmosfere fosche che avevano così ben arricchito “Woe To The Vanquished”. Le melodie si fanno più solenni, l’aria si carica di dannazione, portandoci ad apprezzare eccellenti affreschi di metal tout-court come “Defiance Of Fate” e “Heart Of Darkness”.
La prima, in particolare, con il suo arpeggiato gotico in apertura, rimanda ad ambientazioni eleganti eppure intrise di orrore, nonostante una relativa pacatezza e un lento assolo centrale che pare arrivare dai Metallica più atmosferici degli anni ’80. Lo scenografico finale parrebbe quasi puntare a un universo maideniano, per dire di quanto sfaccettata e ampia sia divenuta la musica degli americani. “Heart Of Darkness”, invece, trasuda amarezza e dolore, l’urlare sconsiderato di Kevill, incastonato fra chitarre controllate e lievemente meditative, dà sfumature inedite, quasi teatrali, a un pezzo che rimane comunque un articolato saggio di thrash articolato e velenosissimo. Martellanti, enfatiche, con quei gradi di crudeltà che stanno diventando una costante per la formazione, “Notre Dame (King Of Fools)” e “Glorious End” chiudono il disco con altri due colpi a effetto. Magari rimestano idee già sentite nelle tracce precedenti, ma entrambe ostentano quella sadica animosità, precisione e spinta che non le fanno sembrare due episodi ‘ordinari’, tutt’altro. “Weapons Of Tomorrow” mantiene i Warbringer nei piani alti della scena thrash contemporanea, tra i pochissimi nomi che non sfigurano in un confronto diretto con chi il genere l’ha inventato e reso immortale.