8.0
- Band: WARBRINGER
- Durata: 00:40:59
- Disponibile dal: 31/03/2017
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
A differenza di altri generi, come death, doom, black, progressive, il sottoscritto ritiene quasi sempre impietoso il confronto fra i dischi thrash rilasciati fra anni ’80 e primi anni ’90 e quanto offertoci da band più giovani in anni recenti. Ci sono eccezioni, ovviamente. Una di queste, forse la più fulgida dietro agli inarrivabili Vektor, è rappresentata dai Warbringer. Messisi efficacemente in mostra nell’esordio “War Without End” (2008) e deflagrati compiutamente con “Waking Into Nightmares” dell’anno successivo, i cinque americani, nonostante i molti scossoni subiti dalla line-up, non solo non hanno smarrito la retta via, ma sono cresciuti di album in album, forgiando un modo di pensare, suonare, vivere il thrash che oggi ha pochi confronti sulla scena. I californiani, guidati dal carismatico singer John Kevill, hanno introiettato sfumature death, classic metal e, a tratti, un’elegante malvagità black metal (attenzione, nelle atmosfere, non propriamente nel sound), assemblandole con gusto e senso della misura in un prontuario thrash che guarda alla scuola statunitense più brutale e porta alla mente pure suggestioni teutoniche moderne. Come non rilevare, nella furia sfrenata di quest’ultimo “Woe To Vanquished”, oltre che nella produzione più recente, un retrogusto degli ultimi Kreator? Mentre guardando in ambienti più vicini geograficamente, sono Exodus e Slayer e, in misura minore, Testament, a fornire i termini di paragone più credibili. Per il quinto full-length, le formulazioni killer dei predecessori non sono andate ad ammansirsi, la durata – circa quaranta minuti – è rimasta la stessa, la qualità è andata se possibile elevandosi, così che l’intero disco suona come un devastante concentrato di pesantezza, velocità ed enfasi luciferina. Tre i pezzi da cui partire per raccontare lo stato di grazia attuale dei Warbringer e le molteplici sfaccettature dell’opera. Il primo non può che essere l’opener “Silhouettes”, prima anticipazione fornita già a metà gennaio: modo più efficace di cominciare una tracklist non ci potrebbe essere. Il primo tempo di batteria rende bene l’idea del senso di minaccia, della tensione palpabile, del ritmo forsennato che andrà ad assumere “Woe To The Vanquished” nella sua interezza. Il basso pulsa e gli concede dialogo, introducendoci a un uptempo tritatutto che esonda in stacchi ancora più veloci del tema principale, oppure si apre a tempi medi bellicosi, ricongiungendosi a quei sentori di guerra totale che costituiscono il corpus tematico del gruppo. Troneggia lo sprezzante vociare di Kevill, uno dei pochi singer thrash non appartenenti alla vecchia scuola che sa aggiungere qualcosa di significativo alla musica del suo gruppo. La seconda traccia obbligatoria per capire l’essenza di “Woe To The Vanquished” è “Spectral Asylum”: i sussurri dei primi secondi non sono messi lì per caso, neanche il primo arpeggio è stato piazzato tanto per introdurre a casaccio qualcosa di diverso. Le chitarre si addensano e s’incupiscono, il cantato diventa trascinato, grondante possessione demoniaca, le melodie dipingono arie sinistre. Pensate agli Watain o ai Tribulation filtrati nell’ottica del thrash-death, dove comunque la paura e lo sgomento indotti dalla percezione di minacce incombenti nell’ombra hanno la meglio sulla crassa aggressione. Metteteci anche incroci di assoli molto enfatici – dato di rilievo dell’intero disco – e tempi nettamente più lenti del solito e avrete un quadro completo di un pezzo abbastanza inedito per gli standard della band, e riuscito dal primo all’ultimo secondo. Infine, non si può non parlare della conclusiva “When The Guns Fell Silent”. Oltre undici minuti di durata, un terreno inesplorato per i Warbringer, potenzialmente ostile e possibile boomerang alle loro ambizioni. Nient’affatto. Cercando di recuperare suggestioni dei Metallica di “Master Of Puppets” e “…And Justice For All” i cinque disegnano una suite thrash epica, dallo spettro emotivo ampio, curata nelle dinamiche, priva di punti di svolta irrisolti. La duttilità sembra essere l’ingrediente aggiuntivo di quest’ultima incarnazione dei Warbringer, che passano con sicurezza da sovrapposizioni fra acustico ed elettrico a riff maestosi, inanellano affreschi doom e portano concetti cari al black d’atmosfera in un più confortevole – per loro – retaggio thrash, esplorando possibilità espressive nuove senza presunzione o facendosi prendere la mano. Il resto della tracklist, pur restando su binari più canonici, non manca di offrire gran pezzi, dove abbondano assalti quadrati che apriranno voragini nel pit (la title track, “Shellfire”) e midtempo cafoni (“Remain Violent”, una goduria) che entrano in diretta competizione con gli ultimi Exodus quanto a efficacia nel solleticare i bassi istinti al mosh. Rileviamo prestazioni individuali eccellenti e votate alla causa comune e una produzione che suona moderna pur mantenendo una musicalità quasi ottantiana. Attenzione, qua nessuno sta riscrivendo i testi sacri del thrash o gli sta facendo compiere un salto in avanti verso nuove galassie: “Woe To The Vanguished” poggia stolidamente i suoi piedi nella tradizione senza farsene inghiottire, mescola molto del miglior metal appartenente ai generi classici e restituisce a noi otto fucilate soniche scritte ed eseguite col sacro fuoco addosso. Impossibile restarne illesi.