9.5
- Band: WARLORD
- Durata: 00:34:05
- Disponibile dal: 01/04/1983
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Un altro fratello del metallo si è spento prematuramente, lasciando un vuoto abnorme nel cuore di numerosi defender appassionati. Vogliamo perciò ricordare il mitico chitarrista e compositore William John Tsamis, leader degli statunitensi Warlord, recensendo un debutto discografico che, nella sua relativa brevità, è riuscito a fare molto più che dare semplicemente il via ad un’epopea tanto travagliata quanto appassionante; un EP che vale come mille album completi, in grado di incarnare alla perfezione tutto ciò che da sempre contraddistingue la tipica magia delle storiche produzioni di genere epic metal.
Come molti di voi ben sapranno, si tratta di un genere che ad inizio anni Ottanta ha visto affacciarsi sul mercato un folto schieramento di realtà musicali, ognuna col proprio stile e le proprie caratteristiche singolari, con gruppi come Virgin Steele, Manilla Road, Cirith Ungol e ovviamente Manowar occupati a rilasciare una lunga lista di capolavori ispirati alla tradizione heavy metal più rocciosa e battagliera. Nel caso specifico della band americana, fondata a Los Angeles nel 1980, tre anni prima di questa uscita, parliamo di un’interpretazione molto versatile di queste sonorità, contraddistinta da un uso luminoso e squillante delle melodie volto ad enfatizzare la componente atmosferica anche grazie all’ausilio di tastiere particolarmente evocative (sebbene meno invadenti rispetto a quelle dei connazionali Virgin Steele); il tutto senza disdegnare qualche richiamo più oscuro e a tratti maligno nei vari arrangiamenti. Potremmo dire che siano proprio dischi come questo ad aver ispirato il power metal vecchia scuola (e non solo), molto più di quanto ci si potrebbe aspettare. Perchè diciamocelo: la carriera dei Warlord non è stata delle più fortunate e/o proficue dal punto di vista quantitativo (i Nostri si scioglieranno sei anni più tardi con un solo full-length ufficiale a curriculum, per poi riunirsi nel 2001 e nel 2011), ma di contro – se ci concentriamo sulla sostanza – siamo a livelli che potrebbero potenzialmente far invidia ad un numero impressionante di formazioni dalle discografie chilometriche.
In “Deliver Us” troviamo quelli che col trascorrere del tempo sono rimasti i sei (sette, in questo caso) diademi più iconici e rappresentativi della loro carriera, a partire innanzitutto dalla danzabile ed elegante “Deliver Us From Evil”, con le sue melodie vocali inconfondibili a cura del frontman originale Jack Rucker, soprannominato per l’occasione Damien King I. Si prosegue con la più romantica e al contempo drammatica “Winter Tears”, le cui soluzioni musicali riescono ancora oggi a stringerci il cuore in una morsa gelida riducendoci alle lacrime, ma con una voglia di cantare a dir poco ardente che può prontamente essere sfogata in quello che è forse il pezzo simbolo della band: quella “Child Of The Damned” (coverizzata anche dagli svedesi Hammerfall nell’esordio “Glory To The Brave” del ’97) in cui l’headbanging a rotta di collo si fonde con l’emozione più pura e riflessiva, seppur proposta in chiave 100% heavy metal.
Avendo noi preso in esame non la versione originale, bensì quella rimasterizzata e completa dell’album, a metà scaletta troviamo la splendida e talvolta dimenticata “Mrs. Victoria”, la cui potenza evocativa la rende invero uno degli estratti migliori del pacchetto, nonché uno dei più variegati dal punto di vista compositivo, come si può ben evincere dalla sapiente modulazione tra il tetro inizio e l’aggressività metallica che prende il sopravvento poco dopo. Con “Penny For A Poor Man” torniamo all’interno della scaletta originale, apprendendo ad ogni ascolto quanto l’heavy metal possa essere a suo modo soave e gentile: si tratta infatti di un brano che non colpisce duro, ma che piuttosto accarezza l’orecchio dell’ascoltatore per buona parte della sua durata, salvo poi trasmettere, soprattutto nei concitati attimi finali, una sensazione più tagliente e acuminata. Per “Black Mass” si applica invece un discorso parzialmente diverso, trattandosi di fatto del brano più oscuro della tracklist, a suo modo malvagio, con degli sprazzi compositivi che più avanti verranno ripresi all’interno di svariate produzioni epic doom.
Sulla conclusiva “Lucifer’s Hammer” spiccano più che in precedenza le tastiere di Diane Kornarens, che di fatto arricchiscono un ultimo atto martellante e battagliero, come del resto lo stesso titolo lascia presagire, dopo il quale non possiamo far altro che meditare su quanto appena ascoltato, rendendoci conto che in poco più di mezz’ora i Warlord sono riusciti a riassumere pressoché tutto ciò che l’heavy metal epico incarnerà negli anni successivi: a volte distruttivo, a volte romantico, a volte lugubre, ma sempre con una classe che non tutti i filoni della nostra musica preferita potranno palesare.
Per quanto ci riguarda, questo EP è praticamente perfetto, e come tale merita di essere analizzato. Chiaramente, si potrebbe discutere del fatto che non si tratta propriamente di un full-length (anche se, a dirla tutta, la versione completa risulta essere persino più lunga del successore “And The Cannons Of Destruction Have Begun…”, dove tra l’altro troviamo ben quattro pezzi già presenti qui, prontamente riarrangiati ed eseguiti dal secondo vocalist Rick Cunningham). Tuttavia, a prescindere da come lo vogliate definire, riteniamo che nella storia della musica pochi EP si siano anche solo avvicinati a ciò che “Deliver Us” rappresenta ancora oggi, ovvero una primordiale summa del valore non solo di una band, ma di un intero filone musicale. Per questo, porgiamo tutti i nostri sinceri omaggi al nostro fratello William, che con la sua arte è riuscito ad ergersi tra le stelle già molto tempo fa, a prescindere da qualsivoglia riconoscimento commerciale.