8.0
- Band: WARLORD
- Durata: 00:55:24
- Disponibile dal: 20/03/2013
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Sono passati undici anni dall’ultima release “Rising Out Of The Ashes”, disco con il quale i Warlord marcarono il loro temporaneo ritorno sulle scene. L’album, a parte due inediti, era più che altro una raccolta di vecchi brani scritti dal chitarrista Bill Tsamis con i Warlord o con l’altra sua band, i Lordian Guard, e riproposti con una formazione che nel 2002 vedeva alla voce il frontman degli Hammerfall, Joacim Cans. L’operazione che aveva riportato in vita un nome così importante dell’epic metal, fino a consentirne la rarissima esibizione dal vivo in quel del prestigioso Wacken Open Air, terminò poco dopo. Una decade e passa dopo, Bill Tsamis, che nel frattempo ha dovuto fare i conti con una seria malattia che ancora lo costringe a cure, e il batterista ormai ex membro dei Fates Warning, Mark Zonder, tornano a far emozionare i loro fan e questa volta lo fanno non solo con un semplice revival ma con un nuovo album di inediti e alcune date dal vivo. Completata la formazione con l’ex Martiria – e già membro dei Warlord a metà anni Ottanta – Rick Anderson, e il bassista di Steve Vai, Philip Bynoe, i Warlord pubblicano “The Holy Empire”, un lavoro che rappresenta a tutti gli effetti il lato più epico, melodico ed evocativo del songwriting marchiato Bill Tsamis. Da sottolineare innanzitutto l’assenza di pezzi veloci alla “Child Of The Damned” e una propensione per mid tempo pregni di atmosfere avvolgenti. Con queste coordinate a tracciare la via, il viaggio in cui ci conducono i Warlord con “The Holy Empire” è fatto innanzitutto di un guitar work ispirato ricco dei giri melodici tipici di Tsamis e di riff di grande effetto, accompagnati da un drumming tecnico, molto vario e dal tocco di assoluta classe. La sezione strumentale è completata da un buonissimo lavoro di Bynoe al basso, mentre il cantato di Anderson, a tratti caldo e delicato e in altri frangenti teatrale e quasi narrativo, si amalgama alla perfezione con le eleganti trame melodiche delle composizioni. Tutto questo è valorizzato da una bella produzione dal sapore retrò che dà a ogni strumento il giusto spazio. Tra i brani migliori citiamo senza paura di sbagliarci la opener “70.000 Sorrows” con il suo incedere solenne e un ritornello di facile presa. La successiva “Glory” non è da meno e, grazie a melodie ariose, delicate e accessibili, colpisce già a un primo ascolto. Di tutt’altra pasta la più ridondante, oscura e doomy “City Walls Of Troy”, scritta decenni fa ma solo ora pubblicata, e l’epicissima “Night Of The Fury”, un altro eroico mid tempo estremamente evocativo che se fosse uscito negli anni ottanta, sarebbe diventato a tutti gli effetti un classico. “Kill Zone” è invece il brano più energico e diretto del lotto e conta sulla prestazione vocale più alta, graffiante e potente del cantante Giles Lavery dei Dragonsclaw, chiamato a sostituire Rick Anderson nell’attuale formazione live. Infine, come non menzionare la conclusiva mastodontica e progressiva titletrack da cui traspare l’eredità dei Lordian Guard? Undici minuti di brano aperto da rintocchi di campana a cui si accostano le soavi voci del Trinity Choir e parti folkeggianti, prima dell’attacco di un altro magistrale mid tempo dal drumming variegato che ci porta fino a un bel ritornello con grandi cori. La chiusura con i pesanti e distorti inserti di synth è un degno finale per un album di alta qualità, fatto per essere apprezzato dopo più ascolti. Ciliegina sulla torta: l’artwork, particolare di “Joshua Commanding the Sun to Stand still”, dipinto del pittore inglese John Martin. Poche sono le band storiche che riescono a tornare in attività dopo molti anni di assenza riuscendo a convincere a pieno. Loro ci sono riusciti con il nuovo “The Holy Empire”, un album che i fan dell’epic metal possono tranquillamente comprare a scatola chiusa.