6.5
- Band: WARLUST
- Durata: 00:44:13
- Disponibile dal: 27/09/2024
- Etichetta:
- Dying Victims Productions
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Una proposta fresca e leggiadra quella dei Warlust, che dalla loro roccaforte in Germania, con nomi d’arte quali Necromancer (voce e chitarra) o Warmachine (batteria), vengono a farci sentire come si suona la musica di Satanasso nel 2024, facendo finta che nel frattempo non ci siano stati altri milioni di band prima di loro. Si scherza, ma nemmeno tanto; la band tedesca, attiva dal 2012 e al suo secondo disco, non aggiunge nulla di sorprendente al discorso, e anzi suona come un classico gruppo nella media, da vedere a metà pomeriggio sul palco di qualche festival europeo, con un death metal vagamente tendente a certe sfumature black europeo e qualche passaggio melodico. Nomi come Necrophobic, In Aphelion, ma anche Aura Noir in qualche momento, sono quelli che tornano alla mente.
Persino il nome sembra svogliato, nei Warlust, eppure riescono a strapparci dei sorrisi che non sappiamo ben spiegarci nemmeno noi, forse grazie a un’ignoranza brada e genuina che li fa andare avanti a testa bassa senza curarsi delle conseguenze. Che si tratti di inserire un breakdown a modo suo irresistibile in odor di heavy metal come in “Serpent Crown”, o di sparare una sequela di riff uno dietro l’altro come se fossimo nell’83, come in “…Of Gallows & Absurdity”, i Warlust riescono quanto meno a distrarci abbastanza da non farci focalizzare, troppo severamente, sul black stantio e strasentito di “Between Apeiron & Plague” o sugli excursus acustici della title-track.
Ci sono anche dei momenti che funzionano, ma che si discostano da quanto sentito sinora, come quando attacca “Legio! Aeterna! Victrix!”, che denotano, con voci pulite e una allure sin troppo ieratica, una certa insicurezza d’intenti. L’album, tuttavia, vive dignitosamente soprattutti in episodi all’interno di canzoni non brutte, ma sin troppo standard.
Insomma, il tiro e la passione nuda e cruda che trasuda dalle note di “Sol Invictus In Umbrae Satanae” (chiediamo l’aiuto dei latinisti sulla forma di questa frase) sono sicuramente i punti di forza di un disco comunque nella media, che se da un lato non stupisce praticamente mai, dall’altro possiede un paio di cartucce che lo rendono accettabile con sorriso di benevolenza. Mezzo punto sopra la sufficienza, dunque.