7.5
- Band: WARMBLOOD
- Durata: 00:42:47
- Disponibile dal: 25/02/2022
- Etichetta:
- The Spew Records
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Godi con Lodi. Chiedendo venia per la fredda e stringata rima, siamo ben lieti di celebrare il ritorno in grande stile dei deathster Warmblood. Se infatti nel 2017 il terzetto lodigiano aveva fatto centro con il più che dignitoso “Putrefaction Emphasis”, un ulteriore salto di qualità viene compiuto oggi grazie al qui presente “Master Of The Dead”, qualcosa di più di un ottimo album. Un superbo full-length che va così a premiare nel migliore dei modi i vent’anni di carriera della band. Sicuramente navigati, gli Warmblood ci portano ancora una volta tra le viscere di un underground grondante di old-school, tappezzato di death, sfregiato di thrash, dipinto di prog. Tre generi nei quali il trio Capra-Carnevali-Mazzoletti sguazza che è un piacere, modellandoli a dovere e costruendo un impianto musicale di assoluto spessore. Autentica passione, che viene travasata con rabbia, precisione e potenza nei padiglioni auricolari dell’ascoltatore di turno. Tecnico, puntuale, brutale, senza scadere in un grezzume fine a se stesso, il gruppo lombardo gioca con l’esperienza, ispirandosi alla matrice tanto americana quanto scandinava, portando a termine un disco che si fa ascoltare e riascoltare. Ed il merito va anche all’argomento trattato lungo i nove brani presenti: come già avvenuto in passato, infatti, i nostri non lasciano nulla al caso e dopo essersi dilettati nel proporre lavori improntati alle vicende cinematografiche di Lucio Fulci, questa volta hanno voluto omaggiare il loro concittadino Paolo Gorini. Matematico e scienziato, Gorini, nel corso del diciannovesimo secolo, mise a punto un nuovo sistema di conservazione dei tessuti: la cosiddetta ‘pietrificazione’, il cui scopo era quello di fare assumere alla carne una determinata consistenza rendendo i preparati anatomici virtualmente eterni. Paolo Gorini, detto il ‘mago’ di Lodi, che all’interno del suo studio ricavato da una chiesa sconsacrata preparava i cadaveri, così da ricavarne non solo modelli per analisi scientifiche ma anche delle vere e proprie reliquie laiche, come dimostra la salma pietrificata di Giuseppe Mazzini.
Ecco quindi chi si nasconde dietro il titolo del nuovo full-length; ecco chi è il “Master Of The Dead”. Magia e fascino che risuonano in apertura d’album (“Ritual Of Petrification”) con il bollire di misture ed il tremolio di ampolle e provette fumanti prima che uno stacco di pianoforte apra le porte del misterioso laboratorio, dando libero sfogo agli Warmblood d’impartire il primo di una serie di riff semplicemente classico e trascinante nella sua possanza. Andamento che prende corpo, svolgendo un midtempo destinato a farvi muovere in automatico il collo, mentre alcune raffiche ritmiche s’intrufolano qua e là, lasciando pure spazi ad assoli chirurgici e sinuosi. Il tutto narrato a menadito dal growl dello stesso Capra. “Master Of The Dead” che, nel rimarcare la sua dedizione nei confronti della vecchia scuola, non risulta mai prevedibile o privo di idee. Dal secondo al quinto brano, infatti, troviamo una cronistoria del lavoro compiuto da Gorini, caratterizzato da episodi rigorosamente strumentali (pt. I e pt. IV), da sferzate tipicamente thrash (pt. II), da autentici viaggi sperimentali (pt. III) nei quali s’innalza la devozione degli Warblood verso il death svedese, inserendo ogni volta elementi prog così da arricchire l’intero operato. Quattro parti ad anticipare la quinta ed ultima sessione, la quale va a sintetizzare quanto esposto nei pezzi precedenti. Ma le infinite potenzialità di Capra e compagni non finiscono qui anzi, raddoppiano nella sontuosa “Putrefaction Idiosyncrasy”, uno dei brani migliori di “Master Of The Dead”. Un’opera, quella della band lodigiana, in grado di tenere incollato l’orecchio del metallaro sino alle ultime note di “Crematorium”, marchiata da un riff melodico e tempestato dalle fulminee ripartenze in chiave death, telecomandate da Elena Carnevali, autrice nuovamente di una prestazione sopra le righe. Un omaggio sonoro che si riflette anche dal punto di vista artistico: la copertina dal disco, realizzata dal chitarrista e singer Giancarlo Capra, riprende infatti uno dei corpi presenti nel museo dedicato a Paolo Gorini sito nella città lombarda. Appassionati dell’old-school o semplici curiosi di una figura storica sicuramente singolare, l’occasione è da cogliere al volo; dire che rimarrete pietrificati è forse banale ma è cosi.