WARREL DANE – Shadow Work

Pubblicato il 23/11/2018 da
voto
6.0
  • Band: WARREL DANE
  • Durata: 00:41:43
  • Disponibile dal: 26/10/2018
  • Etichetta:
  • Century Media Records
  • Distributore: Sony

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L’approccio all’ultimo album del compianto ex leader di Nevermore e Sanctuary, Warrel Dane, è quanto mai difficile e, soprattutto, doloroso; premere il tasto ‘play’ con la consapevolezza che sarà l’ultima volta che sentiremo la voce di Warrel cantare qualcosa di nuovo, è straziante, specie per chi è cresciuto avendo come colonna sonora i brani più belli dei power thrasher Nevermore. Il secondo album in studio di Dane giunge a ben dieci anni dalla pubblicazione del suo primo lavoro da solista, dopo lo split con i Nevermore. In mezzo abbiamo assistito anche alla reunion dei Sanctuary con tanto di nuovo disco e tour. “Shadow Work” ci viene consegnato così come il cantante di Seattle lo aveva lasciato: incompleto. Purtroppo un attacco di cuore ha causato la prematura scomparsa del vocalist, che stava registrando appunto le parti vocali di questo disco. Ciò che ci troviamo tra le mani è un album che doveva durare ottanta minuti e invece ne dura poco più di quaranta. Sette brani, di cui un’introduzione strumentale, sono tutto quello che ci rimane da sentire di Warrel Dane, sette brani che, talvolta, si ha l’impressione che siano stati un po’ messi insieme con quello che era a disposizione, ma l’amara verità è che non sapremo mai quale sarebbe stato il vero risultato finale di questo disco, e proprio per questi motivi vorremmo per una volta esimerci dall’esprimere un giudizio vero e proprio scegliendo la via del sei ‘politico’ e lasciando che ogni ascoltatore tragga le sue conclusioni e si goda le ultime note della carriera terrena di Warrel.
Dopo una breve intro strumentale chiamata “Ethereal Blessing” che ha il compito di aprire le danze, parte “Madame Satan”, un pezzo sorretto sulle prime da un riffing roccioso che si apre un chorus magnoloquente che si dissolve in un cantato in growl che si ripeterà altre volte nel corso del pezzo. Lo schema si ripete fino al bridge/assolo con variazione in uptempo dal sapore progressive thrash. L’impressione è di essere alle prese con un brano fondamentalmente fatto e finito, adrenalinico e d’impatto, il classico pezzo d’apertura, insomma. Rimane il dubbio se il growl fosse effettivamente stato pensato così oppure se si è fatto qualche copia/incolla (scelta probabile). “Disconnection System” ha un attacco molto thrashy e tipicamente nevermoriano, un riffing terremotante apre prima ad un chorus molto luminoso e poi ad un assolo non indimenticabile. “As Fast As The Others” è un pezzo con un andamento pseudo allegro con una strofa a cui probabilmente manca qualche dettaglio. Questo è classico brano che ci saremmo aspettati di sentire un ipotetico disco di ritorno dei Nevermore ed è un pezzo che, con qualche accorgimento in più, non avrebbe sfigurato in uno dei capitoli della band di Seattle. Una curiosità: nel passaggio tra il bridge e il ritornello non ci si aspetta di sentire il ritornello di “Inside Four Walls”?. La titletrack è un pezzo che pare uscire da un “Dead Heart In A Dead World” con questo riff che cavalca una terremotante scarica di doppia cassa. In questo pezzo ad emergere, è un’atmosfera tetra e le aperture melodiche che si giocano su tonalità basse e calde. “The Hanging Garden” è una cover dei The Cure e pare ricalcare quello che era accaduto a “The Sound Of Silence”: una destrutturazione totale del brano, una reinterpretazione totale, mantenendo un ricordo di melodia (e il testo) ma, soprattutto, mantenendo un’atmosfera gotica, in chiave totalmente nevermoriana. Questa in “Shadow Work” crediamo che sia l’ultima traccia pseudo completa. Fino a questo punto era a disposizione una mezz’ora di musica, un po’ poca per un full-length. Se “Rain” fosse un brano completo, crediamo che potrebbe essere stato l’episodio più bello del disco: malinconico, teatrale, con un chorus in grado da far percorrere un brivido lungo tutta la schiena. Crediamo che mancasse un frangente decisamente più tragico e struggente, che ci si aspetta da un momento all’altro ma che, invece non arriva mai, ma con i mezzi a disposizione il risultato è comunque dignitoso. “Mother Is The Word For God” invece è un pezzo palesemente incompleto, persino slegato tra i vari frangenti. L’intenzione sarebbe quella del classico brano cavalcante e complesso che i Nevermore hanno sempre inserito nelle loro tracklist (spesso come brano conclusivo). Purtroppo il risultato è abbastanza impresentabile e ingiudicabile: dal punto di vista interpretativo è evidente che le linee vocali sono ancora embrionali, mal interpretate, messe a posto in studio come si poteva, ma la verità, a parere di chi scrive, è che si poteva anche evitare di pubblicare qualcosa di così palesemente incompleto.
Due parole sulla parte strumentale: è ovvio che la band di Warrel Dane non siano i Nevermore, e se tecnicamente non si ha nulla da eccepire, da un punto di vista della personalità e delle idee, crediamo che sia evidente a chiunque una differenza semplicemente abissale. Dalla parte ritmica che non spicca per dinamismo e varietà di soluzioni fino al guitar working che scippa letteralmente tutto quanto di buono è stato fatto da Loomis, ma senza la verve e l’intuito del chitarrista attualmente in forza agli Arch Enemy, specie nelle parti solistiche. Queste riflessioni ci inducono ulteriore tristezza perché, ascoltando questo disco, e rileggendo alcune ultime dichiarazioni, ci rendiamo conto che, probabilmente i tempi per una reunion iniziavano ad essere maturi e non crediamo di dire un’eresia affermando che, se questi pezzi fossero stati arrangiati dai Nevermore, probabilmente ci saremmo trovati tra le mani un autentico capolavoro.

TRACKLIST

  1. Ethereal Blessing
  2. Madame Satan
  3. Disconnection System
  4. As Fast as the Others
  5. Shadow Work
  6. The Hanging Garden
  7. Rain
  8. Mother Is the Word for God
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