8.5
- Band: WHITE LION
- Durata: 00:44:09
- Disponibile dal: 21/06/1987
- Etichetta:
- Atlantic Records
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“Pride”, orgoglio. Mai titolo fu più azzeccato per un’opera meritevole di descrivere alla perfezione l’ardente desiderio di riscatto dei White Lion, i quali, loro malgrado, si sono trovati ad affrontare una serie di circostanze poco favorevoli che hanno rischiato di compromettere definitivamente una carriera fino ad allora mai decollata. Dopo aver inciso il ruvido esordio “Fight To Survive” negli Hotline Studios di Francoforte, alla next big thing dell’hard rock melodico è stata concessa la ghiotta opportunità di firmare un contratto con la major Elektra Records, salvo poi essere incomprensibilmente defenestrata dai vertici della medesima, per giunta ad un passo dalla pubblicazione del disco. Con un pugno di mosche in mano, i Nostri hanno poi cercato di salvare capre e cavoli entrando a far parte della scuderia della JVC Victor, la quale però non dispone di tutti gli strumenti necessari per attuare una promozione capillare in tutto il globo occidentale. Come ulteriore tegola caduta sul cranio del Leone Bianco, il batterista Nicky Capozzi ed il bassista Dave Spitz gettano la spugna, lasciando al proprio (infausto) destino il cantante Mike Tramp ed il chitarrista virtuoso Vito Bratta. Mai domi, i due sopravvissuti assoldano il valido percussionista Greg D’Angelo, il quale si è fatto le ossa negli agguerriti Anthrax, Cities e Burning Starr, mentre faticano non poco a reperire la persona giusta in grado di completare la sezione ritmica. Dopo aver ripetutamente corteggiato il carismatico Bruno Ravel, futuro leader dei Danger Danger, la scelta finale ricade sul dotato James Lomenzo, con il quale i Nostri si imbarcano per Francoforte, al fine di registrare il tanto atteso sequel. I conti però non tornano ancora del tutto, in quanto, durante un viaggio in automobile negli States, il gruppo si rende conto di non essere pienamente soddisfatto della produzione di Peter Hauke. L’impalcatura sonora risulta troppo pesante e grezza per poter sperare di sfondare nelle classifiche americane, all’epoca dominate dal multiplatinato “Slippery When Wet” dei Bon Jovi. Travolto dagli eventi, Bratta minaccia di lasciare la compagine se non avesse seriamente deciso di ripartire da capo e, dopo aver stretto un miracoloso accordo con la Atlantic, il celebre produttore Michael Wagener diventa la persona giusta per donare una nuova vita ad una manciata di composizioni, già di per sé, molto interessante. Forte di una motivazione completamente rinnovata, la squadra vola compatta ed entusiasta nell’assolata Los Angeles rinchiudendosi nei prestigiosi Amigo Studios per ben sei settimane. Messa al bando qualsiasi distrazione controproducente, i ragazzi lavorano sodo per dodici ore al giorno, coordinati abilmente dall’esperto Wagener in cabina di regia, il quale sfrutta a dovere tutte le migliori tecnologie digitali al momento disponibili. Il risultato del duro lavoro in studio viene ampiamente ripagato dalle oltre due milioni di copie vendute soltanto negli States, per merito di un pacchetto di episodi caratterizzati da un minuzioso lavoro di cesello in fase di arrangiamento, nonché da una produzione brillante, lucidata in fase di mastering dal maestro George Marino. Il temibile felino dimostra di possedere una spiccata personalità espressiva, che paga sicuramente dazio al funambolico stile dei Van Halen senza per questo sminuire la sua straordinaria grinta e personalità. Un immaginifico profluvio di scintillanti melodie sgorga generosamente attraverso l’affilato riffing di “Hungry”, librandosi poi in volo in un ritornello da capogiro. Impossibile non rimanere conquistati dalle travolgenti melodie di “Lonely Nights”, graziate da un chorus in grado di colpire dritto al cuore dopo un solo ascolto. Le paradisiache linee vocali vengono interpretate con irresistibile fervore dalle stentoree corde vocali, abbondantemente addolcite da uno spiccato senso melodico, di Mike Tramp. Il carismatico frontman biondocrinito palesa la sua enorme classe interpretativa all’altezza dell’epica “Lady Of The Valley”, conquistando altresì il cuore di migliaia di ragazze per merito della zuccherosa, ma tutt’altro che scontata, hit “Wait”. Anche nei momenti apparentemente più ‘frivoli’, ben rappresentati dalla strabordante energia profusa dall’adrenalinica “Don’t Give Up”, dalla ciondolante “All You Need Is Rock’n’Roll” e dalla scanzonata “Sweet Little Loving”, è impossibile non osservare le straordinarie qualità di un collettivo mai più così coeso nelle due pur ottime opere seguenti. Come ciliegina sulla torta spicca la conclusiva “When The Children Cry”, raffinata power ballad valorizzata da un testo squisitamente poetico intriso di utopico pacifismo, distante anni luce dall’edonismo sfrenato adottato dalla stragrande maggioranza dei colleghi. Un grande classico da (ri)scoprire, senza se e senza ma.