7.0
- Band: WHITE SKULL
- Durata: 00:48:20
- Disponibile dal: 21/10/2022
- Etichetta:
- ROAR! Rock Of Angels Records
Spotify:
Apple Music:
Sono passati cinque lunghissimi anni dall’ultima fatica in studio dei White Skull e, dopo due anni di stop dai concerti nei quali la band si è dedicata alla scrittura del libro “L’anima del teschio”, Tony, Alex e Federica non potevano che tornare a scrivere nuova musica. “Metal Never Rusts” è sostanzialmente una dichiarazione d’amore per l’heavy (e il power) metal: la cosa bella dei cromati vicentini è che, nonostante siano in giro ormai da quasi quarant’anni, riescono sempre a tirare fuori album ispiratissimi e ben congegnati, nonostante qualche inceppamento qua e là, come avrete modo di leggere a breve.
Il disco si apre sulla maestosa “Hammer On Thin Ice”, che mette subito in risalto le doti da chitarrista solista del nuovo entrato Valentino Francavilla, mentre Alessandro Muscio accompagna i riff con una melodia quasi progressive e Federica e soci si lanciano in un epicissimo coro sul ritornello. La doppia cassa lanciata al galoppo, come nella miglior tradizione teutonica, fa da tappeto al riffing di Tony nella traccia eponima del disco, anche questa con un ritornello che non fa altro che celebrare la resistenza del metal ai decenni che passano. Le runningwildiane “Skull In The Closet” e “Black Ship” ci accompagnano invece nel lento incedere di “Heavily Mental”, secondo noi una delle tracce più riuscite del disco, rigorosamente ‘da accendini alzati’ con il suo epico marciare a metà fra la lirica e i Manowar d’annata. Ma la vera chicca è costituita da “Scary Quiet”, dove la band dà il meglio di sé, anche perché coadiuvata dalla voce dell’amico di vecchia data Chris Boltendahl dei Grave Digger. Ci chiediamo come mai il frontman teutonico non abbia cantato così sul proprio recente “Symbol Of Eternity”, ma ci godiamo comunque questi quattro minuti e mezzo di “Don’t you see it’s scary quiet when the noise is gone, all we need is heavy metal”. Quando arriviamo ad “Ad Maiora Semper” l’esaltazione sale al massimo, perché a questo punto Alex non ha più freni alle pelli e, insieme alla sua masnada, propone una classicissima canzone power metal, spintissima fra doppia cassa e momenti di stacco.
Il problema è che a questo punto ci saremmo aspettati di trovare un altro pezzo lento e magari andare poi a chiudere, e invece ci ritroviamo con “Jingle Hell”. Avete capito bene: un pezzo natalizio che fa il verso a “Jingle Bells”. Purtroppo questo momento riesce ad affossare tutto quello che è stato fatto fino a questo momento, lasciandoci letteralmente basiti davanti allo stereo, e senza nemmeno premere F4 sulla tastiera. Un pezzo, diciamo, così particolare, può essere solo paragonato a quella “Zombie Dance” dei già citati Grave Digger: letteralmente qualcosa che non c’entra nulla col resto del disco. Davvero un peccato, perché le successive “Pay To Play”, che si fregia di una tamarrissima citazione al tema de “Il Padrino”, e la lenta “Weathering The Storm” quantomeno rialzano il livello che si era drasticamente abbassato.
Un disco un gradino sotto al precedente “Will Of The Strong” (che ci era piaciuto un sacco) e tremendamente segnato dalla canzone natalizia, ma che testimonia comunque come anche a casa nostra si riesca a suonare ancora egregiamente dell’ottimo power/heavy forgiato dai migliori fabbri. Se siete fan del sestetto vicentino non resterete sicuramente delusi da questa loro nuova fatica in studio e vi ritroverete ancora una volta a vivere epiche saghe e combattere leggendarie battaglie.