WHITE ZOMBIE – La Sexorcisto: Devil Music, Vol. 1

Pubblicato il 01/07/2018 da
voto
9.0
  • Band: WHITE ZOMBIE
  • Durata: 00:57:30
  • Disponibile dal: 17/03/1992
  • Etichetta:
  • Geffen Records
  • Distributore: Universal

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È il 1992, e come su queste pagine abbiamo ripetuto fino alla nausea, l’industrial metal parla in quel momento praticamente una sola lingua: quella dei Ministry, che escono proprio in questo annus mirabilis con il seminale (e per molti definitivo) “KΕΦΑΛΗΞΘ”, anche se… molto si sta muovendo, nel sottobosco del metal dai confini più labili ed acidi, come abbiamo visto anche parlando qualche tempo fa di “Soul Of A New Machine” dei Fear Factory. Ma se c’è un uomo che da anni tiene una foto di Al Jourgensen in fianco al letto è proprio Rob Zombie, qui ancora lontano anni luce dalla fama internazionale e mainstream della sua carriera da regista, e spesso indicato con fastidio proprio dal leader dei Ministry come un suo ridicolo clone: dal look al gusto musicale, perfino nelle preferenze sessuali, visto che si vocifera che la scarsa simpatia reciproca sia stata acuita da una fidanzata in comune…ma questa è un’altra storia.
Quello di cui ci interessa parlare in questa sede è però l’album che, dopo due buoni lavori che destano interesse ma sono lontani dal far cadere le mascelle di critica e pubblico, i White Zombie decollano nell’Olimpo con un full length che non poteva non farsi notare fin dal titolo: “La Sexorcisto: Devil Music, Vol. 1”, ossia la colonna sonora di una serata grindhouse (e, come vedremo nel seguito, l’espressione non è casuale) a base di sangue, sbudellamenti, scream queen e campionamenti; resta solo da preparare il popcorn, perché tutto il resto è presente in queste quattordici tracce, cariche di un’evocatività trash estremamente consapevole e anche ‘visiva’, se così possiamo scrivere. Sì, perché tra i punti di forza e di evoluzione de “La Sexorcisto…” c’è la quantità di citazioni tratte da film di culto – principalmente classici dell’horror e del filone exploitation, oppure chicche dal Giappone – che oltre a caratterizzare tre intermezzi (le due “Knuckle Duster” e “One Big Crunch”) determinano un’organicità quasi perfetta e ricchissima tra le tracce: vengono simulate trasmissioni radio, promo, o quando sentiamo parlare di zombie (con sample da Romero) o ascoltiamo estratti dai film di Russ Meyer cadaveri affamati e tette enormi sembrano davvero passarci di fianco.
Apre le danze “Welcome To Planet Motherfucker/Psychoholic Slag”, un concentrato psicotico, circense, erotico, dal riff trascinante, trasfigurato nel finale verso lidi più mid-tempo; giunge il primo intervallo di cui sopra, e i White Zombie non perdono tempo nel proporci i due singoli dell’album, ossia le trascinanti “Thunder Kiss ‘65” e “Black Sunshine”. Due brani gemelli e opposti, in cui la prima intensifica i campionamenti e la direzione musicale appena mostrata, mentre la seconda diventa presto un classico della band – nonostante le scarse vendite del 7”: merito anche del video, probabilmente, offerto a ciclo continuo da Beavis & Butthead (chi se li ricorda?), in cui uno stralunato Iggy Pop gioca a fare William Burroghs alla macchina da scrivere e recita un brano dal mitico “Faster Pussycat! Kill! Kill!” innestandosi sul basso in stato di grazia di Sean Yseult, al tempo anche fidanzata di Rob, e lasciando poi a quest’ultimo il fardello vocale, per uno dei momenti più iconici della loro discografia. Va detto come le linee vocali di Zombie, per quanto discretamente figlie del mito Jourgensen, siano (e resteranno) uno degli elementi più forti e coinvolgenti di questa band; come ben si ascolta nella successiva “Soul-Crusher”, che riprende il titolo del loro primo album – e ne è l’ideale title-track con qualche anno di ritardo. È infatti un pezzo dalle ritmiche praticamente thrash, su cui si innestano poi i rallentamenti e la voce cadenzata e ipnotica di Rob, a donare la giusta atmosfera a un brano che mantiene altissimo il livello di questo album. “Cosmic Monsters Inc.”, “Spiderbaby (Yeah-Yeah-Yeah)” e “I Am Legend” sono la trilogia (più) horror del lotto, in cui Zombie anticipa in musica la sua estetica ironica e sanguinolenta insieme, tra linee vocali più sguaiate e folli, continui stop-n-go e l’arrivo di un’atmosfera allucinata e lisergica nell’ultimo dei tre brani – perfetta per ricreare le sensazione del libro di Matheson, o della sua restituzione cinematografica. Quella con Vincent Price, chiaramente, altro che il remake con Will Smith. Sì, perché il genio di questa band sta nell’essere intelligentemente retrò e citazionista: così “Thrust” può sfiorare arrangiamenti del lato più oscuro di Seattle (siamo negli anni in cui il grunge spadroneggia), ma occhieggiando con intelligenza e personalità e con la costante della batteria folle e incisiva di Ivan De Prume a segnare come un metronomo impazzito il sound. Certo, il sostituto sull’album successivo si chiamerà John Tempesta, quindi niente cali di qualità, ma qualcosa di marcio in più qua c’era, ascoltatelo con attenzione. Un altro clip e arriva “Grindhouse (A Go-Go)”: nomen omen, l’ennesima riprova delle doti del suddetto uomo dietro le pelli, ma anche uno dei brani in cui emerge alla grande il valore di Jay Yuenger: un chitarrista poco citato, ma in grado di passare da riff forsennati e graffianti a momenti solisti acidi e personalissimi, proprio come sul finale di questa canzone. È il momento di omaggiare Star Trek, ed ecco “Starface”: oscura, a tratti maligna, eppure impossibile da ascoltare senza scapocciare, mentre la conclusiva “Warp Asylum” mostra un ulteriore lato della band. Quello figlio spurio dei Black Sabbath, tra chitarre più lente e fumose e di nuovo il basso a farla da padrone e a guidare forse la linea vocale più malata dell’album, prima di un paio minuti di chitarra notevoli, tra fuzz, deformazioni e devianze. Sul finale si intreccia tutto, uno degli ultimi sample ci augura la buonanotte e nulla sarà più come prima… almeno fino ad “Astro-Creep 2000”, seguito decisamente ottimo cui accennavamo più sopra, ma che a parità di risultato porta qualche segno in più di mestiere e di futura (e purtroppo non tardiva) scissione di questo straordinario monstrum musicale. 

TRACKLIST

  1. Welcome To Planet Motherfucker/Psychoholic Slag
  2. Knuckle Duster (Radio 1-A)
  3. Thunder Kiss '65
  4. Black Sunshine
  5. Soul-Crusher
  6. Cosmic Monsters Inc.
  7. Spiderbaby (Yeah-Yeah-Yeah)
  8. I Am Legend
  9. Knuckle Duster (Radio 2-B)
  10. Thrust!
  11. One Big Crunch
  12. Grindhouse (A Go-Go)
  13. Starface
  14. Warp Asylum
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