7.5
- Band: WHITECHAPEL
- Durata: 00:47:46
- Disponibile dal: 29/10/2021
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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“Chi lo avrebbe mai detto” è l’espressione che più si addice a commentare l’evoluzione stilistica di cui hanno saputo rendersi protagonisti i Whitechapel nel corso degli ultimi anni. Un mutamento via via sempre più accentuato e radicale che ha portato i ragazzi di Knoxville a smettere i panni di leader del movimento death-core per indossare quelli di una realtà poco interessata a definizioni, generi o paletti, ormai del tutto ascrivibile all’elenco di chi ormai, all’interno di quel calderone che è il metal estremo contemporaneo, può vantare uno stile proprio e perfettamente riconoscibile. È quindi dalla medesima sorgente creativa del fortunatissimo “The Valley” che nasce “Kin”, opera che come tutti i sequel che si rispettino eleva i tratti distintivi dell’originale in un’escalation destinata a lanciare il sestetto verso una stratosfera di consensi e visibilità simile a quella evocata dai colori dell’artwork, mescolando ferocia e dolcezza secondo un gusto compositivo lontano anni luce dalle asfittiche alternanze di certi colleghi.
D’altronde, basterebbe prendere il singolo “Lost Boy” per saggiare con mano l’unicità dell’amalgama di questo ottavo full-length: partenza che potrebbe benissimo provenire da un disco del catalogo Unique Leader, ritornello urlato ma mai sopra le righe (perfetto anche in ottica sing along dal vivo), break malinconico che – udite, udite – strizza neanche troppo velatamente l’occhio al dark metal/rock dei Katatonia, con un Phil Bozeman ormai perfettamente calato nei panni di cantante a trecentosessanta gradi e autore di clean vocals sempre più espressive, mature e profonde. Scelte che richiedono attributi e massima lucidità in sede di songwriting per non apparire un taglia-e-cuci dissennato, e che i Nostri compiono con la fermezza di chi sa di riuscire a mettere a terra le proprie idee e le proprie influenze senza scadere nel ridicolo, facendo sembrare semplice ciò che in realtà è a tutti gli effetti un piccolo miracolo (si stenta a credere che si tratti degli stessi autori di una “This Is Exile”!). La tracklist è quindi un continuo saliscendi emotivo trainato dalla suddetta performance vocale e dall’elasticità acquisita dal guitar work, il cui incedere brilla di una scorrevolezza e di una cura maniacale per i dettagli che portano ogni transizione, ogni riff, ogni arpeggio, a stamparsi in testa dopo pochissimi ascolti. Si spolvera (aggiornandolo) il retaggio -core e death metal (“A Bloodsoaked Symphony”, “The Ones That Made Us”, “To the Wolves”), ci si abbandona alla melodia come tra le braccia di una persona amata (“Anticure”, “Orphan”, la titletrack), e giunti al termine dell’ascolto si riscopre il piacere di una proposta che sa essere sia fruibile e moderna, sia adulta e stratificata, in cui bene o male tutti – massa e pubblico di nicchia – potrebbero identificarsi.
Certo, a ben vedere “Kin” non può contare sull’effetto sorpresa del precedente, e oltre a questo presenta dei testi oggettivamente non all’altezza dello spessore musicale sfoderato, ma parliamo di minuzie in un quadro complessivo di assoluto interesse. Di sicuro uno degli ultimi veri botti di questo insolito 2021, e uno dei capitoli più avvincenti nella saga discografica della band americana.