7.5
- Band: WHITECHAPEL
- Durata: 00.47.12
- Disponibile dal: 24/06/2016
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
“Make Deathcore Great Again” sembrano urlare in coro Despised Icon, Chelsea Grin, Carnifex e Whitechapel, alfieri del movimento pronti all’invasione massiccia del mercato con le rispettive novità discografiche. Rompe il ghiaccio il quintetto di Knoxville, che con “Mark Of The Blade” ci rende nuovamente testimoni della propria lenta evoluzione stilistica: il self-titled e “Our Endless War” ci avevano preparato ad uno spostamento verso territori djent/groove metal, mentre a livello di influenze i nove dell’Iowa cominciavano a fare capolino in maniera neanche troppo timida. Si continua nella direzione indicata dal passato recente, ascoltando pezzi come “A Killing Industry” infatti non possiamo che confermare l’influenza dei nove mascherati. Dall’ammodernamento però si passa velocemente all’oltraggio: parliamo ovviamente di “Bring Me Home” e “Decennium”, i chiaccherati episodi in cui vengono alla luce le temutissime clean vocals. A parere di chi scrive il frontman Phil Bozeman, da sempre simbolo del gruppo con le sue urla gutturali caratteristiche e distinguibili, centra appieno l’obiettivo con una prova convincente e sebbene l’influenza di Corey Taylor torni ad emergere in maniera prepotente gli esperimenti non sono catalogabili come ruffiani o commerciali. “Mark Of The Blade” in ogni caso mostra anche quello che i Whitechapel san fare al meglio coi distruttivi episodi di “The Void”, “Venomous” e della title track, in cui la sega circolare continua a far danni per la gioia dei fan storici. Anche i passaggi più introspettivi come “Tormented” e la strumentale “Brotherhood” risultano ispirate e ben rifinite, a testimonianza di una maturazione organica che non tradisce il passato e che non va a snaturare il DNA del gruppo. Dopo dieci anni di carriera i Whitechapel avevano diritto e dovere di tentare nuove strade e sperimentare, a tal proposito ci sentiamo di dire che “Mark Of The Blade” realizza la visione in maniera impeccabile, anche senza l’impatto di classici come “The Saw is the Law” o “I, Dementia”.