7.0
- Band: WHITESNAKE
- Durata: 00:59:22
- Disponibile dal: 10/05/2019
- Etichetta:
- Frontiers
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Come il serpente che ha dato il nome alla band, anche David Coverdale ha mutato pelle più volte nel corso della sua lunga carriera. Passato dal nulla alla folla oceanica del California Jam con i Deep Purple, Coverdale rappresenta uno di quei rari casi in cui un artista è riuscito a ripartire da zero non solo eguagliando la fama raggiunta nella sua prima esperienza, ma addirittura superandola. Anche la carriera degli Whitesnake ha subito notevoli evoluzioni, dall’hard rock con forti influenze blues dei Seventies, fino all’hair metal cotonato figlio degli anni Ottanta. Il pubblico del Serpente Bianco è spesso riuscito ad apprezzare entrambe le anime della band, propendendo per l’una o per l’altra a seconda del proprio gusto (chi vi scrive, ad esempio, preferisce la prima) ma da un punto di vista prettamente quantitativo, i numeri parlano chiaro: “1987” con i suoi otto milioni di copie vendute solo negli USA, diventa un successo planetario e trasforma David Coverdale in una star e sex symbol. Non stupisce più di tanto, quindi, la decisione del cantante, all’epoca della reunion del 2003, di puntare su questa direzione per il ritorno in grande stile degli Whitesnake. Dal 2003 sono passati ormai sedici anni, ma ancora oggi il frontman cerca di mantenere lo spirito dei luccicanti anni Ottanta, pubblicando “Flesh & Blood”, un disco che porta avanti quello stile apprezzato nella svolta ‘americana’ della band.
Preso con questo spirito, il nuovo sigillo degli Whitesnake risulta godibile e ben realizzato, portando avanti quelle caratteristiche che i fan della band hanno imparato ad apprezzare: chitarre muscolose, una sezione ritmica robusta e diretta ed un cantato spesso spinto verso l’alto, a raccontare storie di donne pericolose, sesso, macchine, vita on the road e tutto ciò che ci si aspetterebbe a corredo dello stile di vita di una rockstar d’altri tempi. D’altra parte al fianco di David troviamo delle vecchie volpi come Reb Beach e Tommy Aldridge, coadiuvati dal bravo Joel Hoekstra, Micheal Devin e il nostro Michele Luppi, che ci spiace vedere un po’ sacrificato in una direzione musicale che relega le tastiere a mero orpello di contorno, laddove in passato si sono avvicendati giganti come Jon Lord e Don Airey.
“Flesh & Blood”, con le sue quattordici composizioni, per sessanta minuti di musica, alterna momenti riusciti: il singolo (ruffiano al punto giusto) “Shut Up & Kiss Me”, “Well I Never”, il boogie infuocato di “Get Up” o la ballad, classicissima ma emozionante, “Heart Of Stone”; ad altri un po’ stanchi e manieristici, come “Gonna Be Alright” o l’iniziale “Good To See You Again”. Tuttavia, risulta ancora più convincente quando Coverdale abbandona un po’ il suo personaggio, dando spazio a materiale più adatto al suo essere un signore di quasi sessantotto anni. E qui arriviamo alla vera nota dolente dell’intero lavoro, ovvero la voce di David, che il cantante si ostina a spingere verso lidi ormai inaccessibili per le sue possibilità. Possiamo anche soprassedere al fatto di ascoltare dei testi ed un immaginario decisamente in contrasto con l’età anagrafica del suo interprete, è il gioco del rock’n’roll, vale per tutti, dagli Stones in giù. Quello che non capiamo, invece, è l’intestardirsi di Coverdale su un registro vocale che non gli appartiene più e che lo condanna a delle prove dal vivo spesso imbarazzanti. Il che brucia ancora di più quando ascoltiamo David spostarsi su un registro più basso, dove non solo non ha alcun problema, ma si conferma ancora oggi come una delle voci più belle che si possa ascoltare. Così canzoni come l’ariosa “Always And Forever” o la bonus track “Can’t Do Right For Doing Wrong” e perfino la delicata composizione acustica, “After All”, risultano spesso molto più a fuoco ed eleganti rispetto allo stile così esplicito e ruspante delle composizioni più robuste. D’altra parte, come si dice, il responso del pubblico è sacro e “Flesh & Blood” rappresenta una buona sintesi del sound degli Whitesnake di oggi, prendere o lasciare. Da parte nostra, ci limitiamo a chiederci, non senza una punta di dispiacere, cosa avremmo potuto ascoltare oggi se lavori come “Restless Heart” o “Into The Light” avessero avuto il successo meritato…