7.0
- Band: WHITESNAKE
- Durata: 00:59:26
- Disponibile dal: 21/04/2008
- Etichetta:
- SPV Records
- Distributore: Audioglobe
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Ci sono artisti che dopo anni di successi preferiscono rimanere alla finestra contemplando le bacheche colme di dischi platinati ed altri altrettanto decorati, come David Coverdale, che non si accontentano mai e conservano ancora orgoglio e adrenalina per uscirsene dopo quasi vent’anni di silenzio con un disco nuovo di zecca. Dopo la fortunata reunion del 2003, che ha portato i Whitesnake a celebrare il venticinquesimo anniversario di vita sui palchi di mezzo mondo, la fiamma del rock è ricominciata a bruciare più forte che mai nel cuore di Coverdale e di tutti i fan del serpente bianco, tuttavia sarebbe stato più facile proseguire con altri cinque o dieci anni di vita on the road e sporadiche pubblicazioni di routine, leggasi live o raccolte, piuttosto che lanciarsi nell’impresa del decimo studio album (come ci ricorda anche la copertina che evidentemente considera “Restless Heart” un episodio da attribuirsi alla carriera solista di Coverdale). “Good to Be Bad” offre qualcosa in più di una generosa prova di coraggio, grazie ad un’ora di hard rock che recupera il sound dal binomio di maggior successo “1987”, “Slip Of The Tongue” e le tematiche di sempre, senza dimenticare gli inserti blues che imperversavano nella prima metà discografica, il tutto condito da una produzione al passo coi tempi capace di elevare il groove e l’energia profusa dai pezzi. Senza perderci in inutili accostamenti con brani immortali che hanno già detto e diranno ancora tanto nell’economia dei Whitsnake, “Good To Be Bad” è ispirato da un songwriting di buon livello, scorrevole e godibile per tutta la sua durata, regalando punte affilatissime alle frecce “Call On Me” e “All For Love”, senza dimenticare la spassosa “Lay Down Your Love” contraddistinta da un chorus di grande impatto. La voce di Coverdale non è più quella dei bei tempi e le avvisaglie percepite dal vivo vengono confermate nella spenta ballata “All I Want All I Need”, tuttavia l’ottimo lavoro di arrangiamento corale nonché un’interpretazione dello stesso singer incentrata su tonalità più basse e profonde rendono l’impiccio meno evidente, mentre per saggiare l’ispirazione del chitarrista Doug Aldrich è indicativa l’ottima partenza con il riff graffiante di “Best Years”. Anche il finale offre spunti d’interesse con le sopraccitate influenze di stampo blues, facilmente individuabili nella cadenzata “A Fool In Love”, i rimandi seventies dell’agitatissima “Got What You Need” e le note ammalianti dell’acustica “’Till The End Of Time” in cui Coverdale si congeda cantando con un pizzico di malinconia il suo messaggio rivolto a tutti i fan: “I will love you ‘till the end of time”.