7.5
- Band: WHOREDOM RIFE
- Durata: 00:50:24
- Disponibile dal: 31/05/2024
- Etichetta:
- Terratur Possessions
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Altro giro, altro centro per la band di Vyl, il mastermind dei Whoredom Rife, che torna con un disco che potrebbe essere serenamente utilizzato come epitome di cosa significhi oggi ‘black metal’ in Norvegia.
Certo, il bello di questo genere è, di fondo, proprio l’incapacità di incasellarlo in stilemi e forme reiterabili con lo stampino, ma ritrovare chi guarda alle sue radici senza banalizzarle e conferma un proprio sound anche dopo cinque dischi, beh, è sempre un piacere.
L’ossessivo, tremolo riffing è l’eterno elemento senza tempo di una certa scuola black, ma i Whoredom Rife confermano di essere maestri nel rielaborarlo con altre istanze, dagli arpeggi acustici di grande impatto a quelle piccole variazioni che trasformano la chitarra nell’evocazione di ben altre compulsioni e follie.
Forse l’unico, relativo limite di un disco altrimenti eccellente è lo scarso coraggio nella costruzione dei brani, che presentano tutti analoga struttura, così come un dinamismo – certo non assente – determinato solo dai cambi di tonalità dei riff, rispetto per esempio alla varietà che avrebbe potuto donare l’innesto più frequente di parti acustiche o passaggi in midtempo.
Anche se, all’opposto, il duo riesce in certi brani a toccare ritmi talmente vorticosi da farci quasi sentire folate di vento ghiacciato in faccia (“Phantom Sword”, impreziosita anche da un finale orrorifico niente male). Funzionano comunque egregiamente i brevi, allucinati assoli che si fanno strada come scampoli di follia improvvisi (“Fiender”, “Ravenous”) o gli armonici squillanti che ogni tanto staccano con un senso di dissonanza e malessere dai riff portanti (“Hevnens Rett”). Fa un po’ eccezione alla “ripetitività” (aumentate liberamente il numero di virgolette) la mastodontica “The Beautiful End Of All”, brano più lento e decisamente atmosferico, anche grazie ai tappeti di tastiere.
Detto poi che, come sempre, è una sola la mente creativa della band, l‘apporto vocale di K.R. conferma un connubio musicale eccellente; Kjell Rambech attraversa in scioltezza pressoché tutti i registri dell’estremo, mostrandosi capace ed espressivo sia quando canta in maniera glaciale, sia quando vira su lidi più crudeli o violenti; e anche produzione leggermente in secondo piano acuisce il suo potere evocativo.
L’energia rabbiosa che dà il titolo all’album è perfettamente espressa in queste sei tracce: senza nulla togliere alla storia e alla discografia di altre band, Trondheim ha da tempo una nuova band di riferimento, nel black metal.