7.5
- Band: WINGS OF STEEL
- Durata: 00:50:27
- Disponibile dal: 19/05/2023
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Primo full-length ufficiale per questa nuova formazione californiana, dedita a una proposta tipicamente di stampo heavy metal e rivolta principalmente ai defender di tutto il mondo.
Già dalla copertina, il qui presente “Gates Of Twilight” si mostra come una diretta evoluzione dell’EP d’esordio autotitolato, che già ci aveva fatto drizzare le proverbiali antenne lo scorso anno grazie ad un sound magari non particolarmente originale, ma comunque ben confezionato ed eseguito con un’ottima capacità tecnica. Impressioni che permangono e vengono confermate anche in sede odierna, grazie ad una tracklist che, un po’ come suggeriscono i due cavalli alati ben visibili sull’artwork, si potrebbe a suo modo analizzare con due punti di vista differenti, in base al brano preso in analisi: ci sono infatti sezioni ad altissimo contenuto metallico e improntate alla stimolazione dell’adrenalina nell’ascoltatore, mentre altre scelgono un approccio più vicino a quello che ha reso popolare l’hard rock di stampo americano, con in più una leggera e onnipresente spruzzata di quella possanza molto popolare in produzioni dalle connotazioni al limite del power metal.
Sul fronte ritmico, la prima parte dell’album si presenta come una sorta di alternanza, in quanto la opener “Liar In Love” dà inizio alle danze con fare cadenzato e colmo di sfoggi tecnici – sulla falsariga di una ben più nota “Sacred Heart” di Ronnie James Dio, per intenderci – mentre la seguente “Fall In Line” calca la presa sull’acceleratore, incrementando drasticamente l’aggressività generale, che viene poi concentrata e convogliata in una “Garden Of Eden” più oscura e onirica, ma anch’essa trampolino di lancio per una più collerica “Cry Of The Damned”. Per quanto riguarda “She Cries”, invece, notiamo con piacere che la band è perfettamente in grado di confezionare delle vere e proprie semi-ballad, pronte però a esplodere nella arrabbiatissima fase centrale, sempre mantenendo costante l’ottimo contributo di entrambe le figure chiave del progetto, ovvero il vocalist Leo Unnermark e il chitarrista Parker Hualub, che in questa sede si è occupato anche delle linee di basso. Il primo dei due vince grazie a una timbrica acuta che sembra nata appositamente per cantare questo genere, senza contare l’immagine vistosa e piacente, mentre il secondo sciorina riff graffianti e assoli colmi di note in totale naturalezza. Buonissima anche la batteria, la cui registrazione viene affidata a tale Mike Mahan.
Il pregio dell’album è una indiscutibile capacità di confezionare pezzi efficaci e suonati in maniera egregia, degni rievocatori dei fasti gloriosi degli anni ’80. Tuttavia, a questo corrisponde anche un difetto, ovvero una mancanza quasi assoluta di originalità e/o di tratti stilistici peculiari, in quanto ogni brano ce ne riporta alla mente almeno un altro: “Lady Of The Lost” fa sfoggio di derive tra le più affilate dei Whitesnake, “Leather And Lace” ricorda addirittura una versione heavy metal del classico “Black Velvet” di Alannah Myles, e così via.
Naturalmente, il peso che può avere questo dettaglio nella valutazione dipende da cosa si cerca in un album; a noi piace ancora tantissimo il classico e non riteniamo indispensabile distinguersi troppo per potersi considerare un’ottima band, però è anche vero che in una valutazione è opportuno premiare non solo le capacità pratiche, ma anche il coraggio e la voglia di suonare personali, a prescindere dall’inevitabile sensazione derivativa che, se si suona un genere old school, non è possibile evitare del tutto, e va bene così.
La fase finale inizia con la ballad “Slave Of Sorrows”, piuttosto toccante, seppur un po’ scolastica, per sfociare finalmente in una title-track possente, anche se forse un po’ troppo somigliante ad alcune tracce precedenti nel suo incipit; difetto che viene immediatamente falciato via da una seconda parte in cui i bpm si impennano, la chitarra solista urla e l’headbanging più puro si impossessa dell’ascoltatore, pronto a farsi accompagnare alla fine dalla lenta e conclusiva “Into The Sun”, anch’essa pronta a esplodere negli ultimissimi minuti.
Indubbiamente un ottimo album, che va direttamente a schierare i Wings Of Steel tra le avanguardie della nuova ondata di formazioni classiche, così come tra quelle che in questo 2023 hanno mantenuto vivo il nostro entusiasmo per tutto ciò che suona, almeno in parte, alla vecchia maniera. Ci sarebbe decisamente da lavorare sul versante dell’originalità, per quanto possibile e/o richiesto, ma le capacità ci sono tutte e, trattandosi di un esordio, siamo certi che la strada sia quella giusta.