6.0
- Band: WINTERAGE
- Durata: 01:01:34
- Disponibile dal: 15/01/2021
- Etichetta:
- Scarlet Records
- Distributore: Audioglobe
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Con questo secondo album gli italiani Winterage approdano alla Scarlet Records, proponendo con continuità un power metal dalle fortissime componenti sinfoniche e operistiche. “The Inheritance Of Beauty” è infatti un lavoro che cementifica le caratteristiche presenti nell’album d’esordio, posizionando i Winterage come una delle band più in linea con il power metal ‘all’italiana’: i riferimenti all’inesauribile magistero dei Rhapsody è oltremodo evidente, così come sono assolutamente evidenti le adiacenze con altri esponenti del power italico come Ancient Bards, Derdian, Heimdall.
La proposta è comunque caratterizzata da alcuni elementi peculiari, volti a differenziare il sound della band: la presenza di un bravissimo violinista nella line-up (il fondatore Gabriele Boschi), le particolari scelte canore del vocalist Daniele Barbarossa e un songwriting in linea di massima poco interessato alla ricerca dell’orecchiabilità. Questi elementi portano il combo ligure a favorire un sound realmente ‘sinfonico’, con brani spesso vicini al mondo della musica classica e cinematografica, senza mai scadere in finte pretese di epicità. Il cantato di Barbarossa alterno clean vocals ‘classiche’ ad ampi momenti di stampo lirico, dando un piglio quasi narrativo all’album (il quale è infatti una sorta di concept sul decadimento dei valori estetici più puri, in una società in cui gli ideali di bellezza sono pasticciati o addirittura annichiliti).
Il risultato finale, purtroppo, non sempre è convincente. Nonostante un’ossatura a suo modo originale, “The Inheritance Of Beauty” non riesce a non apparire come un lavoro (troppo) spesso derivativo. Una manciata di esempi: la titletrack rimanda immediatamente in modo troppo vivido ai lavori dei Fairyland (band già di per sé scarsamente originale); un ritornello come quello di “Of Heroes And Wonders” ricorda in modo eccessivo molte melodie dei primi Rhapsody; “Oblivion Day” può sembrare un pezzo dalle tinte progressive ma in realtà è troppo vicino alle ultime esperienze dei Sonata Arctica. È inoltre evidente il limite delle scelte vocali, che in molti frangenti appiattiscono la tentata intensità dei brani, anche in episodi interessanti come “The Wisdom Of Us” e “Orpheus And Eurydice” (buon brano, nonostante le molte somiglianze con gli Elvenking): è come se, paradossalmente, un cantato più tradizionale avrebbe garantito un impatto più forte e incisivo.
Si arriva dunque alla fine con la sensazione di aver ascoltato un album suonato benissimo, composto con tangibile impegno e passione, con momenti interessanti e a volte suggestivi (su tutti “La Morte Di Venere”), ma proveniente in ogni suo aspetto da un’eredità musicale troppo ingombrante: sono pochissime le melodie che rimangono davvero in mente (e in un genere come quello proposto non è un bene), e sono pochissimi anche i brani nei quali emergono idee realmente originali o almeno in grado di colpire significativamente un ascoltatore abituato a sonorità di questo tipo.