8.0
- Band: WINTERSUN
- Durata: 00:48:40
- Disponibile dal: 30/08/2024
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Nel 2012 i Wintersun pubblicavano il loro secondo album, “Time I”, un disco che ha suscitato certamente reazioni contrastanti tra chi, assecondando anche le altissime aspettative create da presentazioni altisonanti, lo ha osannato come uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi e chi, invece, lo ha stroncato, ritenendolo magari troppo dispersivo se non persino inconcludente per la quantità di temi e stratificazioni utilizzati, con brani troppo aperti e senza una struttura portante.
Naturalmente abbiamo cercato di sintetizzare un discorso in realtà molto più complesso e ricco di argomentazioni ma, a parere di chi scrive, “Time I” è un ottimo disco (giudicato forse anche un po’ severamente all’epoca anche su queste pagine), di buon livello sia dal punto di vista compositivo che interpretativo, oltre che per la qualità degli arrangiamenti.
L’aspetto però forse più importante è che si tratta di un disco che ancora oggi suona molto fresco e attuale, anche per la sua grande capacità di mescolare generi alquanto diversi: in “Time I” possiamo ritrovare melodic death, power metal, prog metal, assoli neoclassici, symphonic metal, qualche accenno al gothic/death più modernista o qualche reminiscenza folk, che non stanno messi lì a caso tutti insieme in una sorta di crossover, ma realmente assimilati dalla band e condensati in unico stile. In sostanza i Wintersun non inventano un genere e probabilmente non sono migliori di nessuno nel suonarlo, ma riescono a far convivere tante diverse influenze creando il proprio stile, la loro proposta, il proprio trademark.
Questo poteva risultare magari poco gradito da molti in un periodo dove si tendeva forse maggiormente ancora a concepire i vari generi un po’ a compartimenti stagni, ma in qualche modo i Wintersun avevano già aperto la strada ad una tendenza che di fatto poi è diventata la chiave del successo di molte altre formazioni.
Il titolo stesso di “Time I” lasciava presupporre che ci sarebbe stata una seconda parte, ma il leader Jari Mäenpää ha commesso a nostro parere il grandissimo errore nel pensare di dedicarsi prima ad altro, pubblicando nel 2017 il mediocre “The Forest Seasons” e lanciando delle fortunatissime campagne di crowfunding con il quale ha realizzato il proprio studio.
L’uscita di “Time II” è stata dunque preannunciata e attesa davvero molto a lungo, ma finalmente è arrivata, a ben dodici anni di distanza dal precedente.
Nonostante la lunga distanza temporale, questa seconda parte è strettamente connessa alla prima, tanto che se li si ascolta in sequenza, la nostra impressione è che i due dischi davvero sembrino essere stati pubblicati in un periodo alquanto ravvicinato.
Anche in questo caso, la tracklist comprende due tracce strumentali, una delle quali è posta in apertura: si tratta per la verità di una sorta di intro alquanto lunga e persino un po’ bizzarra, considerando il modo con cui tende ad accentuare sonorità orientali, però in effetti ascoltando il disco si noterà come in realtà questa anticipi anche alcuni temi che verranno poi ripresi più volte nel corso degli altri brani. Questo richiamo all’Oriente peraltro è espresso bene già dalla stessa copertina, dove è raffigurato un albero di ciliegio in un’atmosfera innevata, con un monte sullo sfondo che ci fa pensare al Fuji. Inoltre, in alcune tracce vengono utilizzati anche alcuni strumenti etnici, soprattutto della tradizione cinese, come l’ehru, un tipico strumento a corde.
Proseguendo l’analogia con il primo “Time”, uno dei pezzi forti dell’album è senz’altro costituito dalla seconda traccia, “The Way Of The Fire”, che racchiude pienamente tutti gli elementi e le caratteristiche del sound della band, con il cantato sia estremo che in chiaro e lo stile che va a toccare vari generi, in un condensato davvero efficace di rabbia, potenza, malinconia, tra passaggi sinfonici e intermezzi di vario tipo, con almeno due splendidi assoli di chitarra: uno, più lento e carico di feeling; l’altro, più veloce e di stampo neoclassico.
Ottima anche la successiva “One With Shadows”, mentre “Ominus Clouds” è la seconda strumentale dell’album, una sorta di capriccio alla chitarra che punta ad essere molto atmosferico. “Storm” è la traccia più oscura e forse anche più pesante del disco, con una struttura molto aperta, la quale però a dire il vero non ci convince del tutto, perchè per rendere il senso appunto della tempesta presenta almeno tre-quattro minuti di assoluto caos, con una ritmica velocissima e tante stratificazioni, dando un’idea di estrema confusione, per poi riportare uno strascico finale un po’ lungo di quasi silenzio, intervallato solo dal rumore di tuoni in lontananza. Diciamo che resta un brano interessante, però, considerando i suoi oltre dodici minuti di durata, i tempi forse potevano essere gestiti in modo più ottimale. In effetti, anche nella conclusiva “Silver Leaves” c’è un lungo strascico di ‘quasi silenzio’, ma in questo caso acquista più senso perchè arriva dopo una lunga canzone che insiste su temi orientaleggianti e rappresenta un momento di autentica quiete dopo un lungo viaggio, una sorta di stato d’animo dopo aver attraversato la tempesta e l’oscurità per riscoprire l’armonia della vita e la bellezza della natura.
Riteniamo che con “Time II” i Wintersun abbiano davvero fatto centro realizzando un album molto intenso, da scoprire e metabolizzare lentamente, dove si possono apprezzare la bellezza dei testi e si possono scoprire sempre nuove sfaccettature o nuovi punti di vista ad ogni ascolto. Si tratta di un disco dove nulla sembra essere stato lasciato al caso, ma che allo stesso tempo riesce a coinvolgere ad incantare perchè la band cerca sempre di andare a toccare uno spettro di emozioni trasmesse in uno stile che musicalmente non ammette confini.
I finlandesi dimostrano con “Time II” di aver saputo riprendere il discorso proprio da dove era stato lasciato con “Time I”, al di là del fatto che diversi brani sono già stati concepiti anni fa ma tenendo comunque conto di tutto il tempo e di tutto quello che c’è stato in mezzo. Non sappiamo che strada prenderà la loro carriera a questo punto, se si concluderà con questo disco, in un certo senso quasi persino ‘dovuto’ ai propri fan che lo hanno aspettato così a lungo, o se saranno in grado di dare un degno seguito con altri lavori.
Quel che è certo, lasciatecelo dire, vista la qualità di questo lavoro, è che stato un vero peccato per la stessa band perdere tutti questi anni: probabilmente tante cose sarebbero andate diversamente e comunque, come ci suggerisce anche il titolo, il ‘tempo’ perduto, non tornerà più.