6.5
- Band: WITCHUNTER
- Durata: 00:48:48
- Disponibile dal: 17/09/2016
- Etichetta:
- Blasphemous Art Productions
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Formazione con i piedi saldamente piantati negli anni ’80, gli abruzzesi Witchunter arrivano al secondo album in studio e rendono omaggio con il nuovo “Back On The Hunt” ad alcune delle migliori formazioni dell’ancora giovane scena heavy metal dell’epoca. Nel DNA del gruppo, infatti, vivono e pulsano N.W.O.B.H.M., speed metal e hard rock, riletti oggi con lo stesso spirito di più di tre decenni fa. I Witchunter non cercano di attualizzare la loro proposta: dalla composizione fino alla produzione e alla copertina, tutto suona fieramente vintage. Chi cercasse una ventata di novità, farebbe meglio a dirigersi su altri lidi, ma ciò che conta, invece, è la capacità del gruppo di risultare convincente. I Witchunter raccolgono l’ispirazione da tutta la scena classica e confezionano una manciata di canzoni di tutto rispetto, capaci di crescere con il tempo e svelando più stratificazioni di quello che si potrebbe pensare ad un primo ascolto. Se infatti l’ossatura del gruppo va ricercata nelle composizioni più possenti e aggressive, come l’iniziale “Lady In White” o “Vultures Stalking” con i loro rimandi a Exciter e Raven, è vero che le canzoni dei Witchunter hanno molte sfaccettature. Basterebbe ascoltare “Hounds Of Rock”, che retrocede ancora nel passato, richiamando prima i Blue Oyster Cult più grezzi, per poi buttarsi anima e corpo in un intreccio musicale figlio dei Deep Purple e dei Rainbow. Allo stesso modo possiamo citare “Loosing Control”, che ci rimanda direttamente ai Motörhead, oppure “Lucifer’s Blade”, sulfurea composizione tra Angel Witch e Mercyful Fate. A chiudere il disco, infine, troviamo ben due cover: una più semplice e diretta, “Are You Ready” dei Thin Lizzy, che ben si sposa con lo stile del gruppo, mentre la seconda si rivela decisamente più inconsueta. I Witchunter, infatti, omaggiano i Led Zeppelin con la magniloquente “Achillle’s Last Stand”, discretamente resa dal gruppo che riesce a non sfigurare anche in un contesto più complesso e articolato. Insomma, un buon disco, non c’è che dire, che non inventa niente, non traccerà un solco nella storia della musica, ma che ha il pregio di essere suonato con passione, risultando efficace e coinvolgente.