6.5
- Band: WOLCENSMEN
- Durata: 00:50:22
- Disponibile dal: 20/09/2019
- Etichetta:
- Indie Recordings
- Distributore: Audioglobe
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Dietro al nome Wolcensmen si cela il nome di Dan Capp, chitarrista dei Winterfylleth, che ha dato vita a questo progetto parallelo dedicato interamente alla musica folk, con le sue sonorità arcane e i suoi racconti fatti di leggende e viaggi nelle terre selvagge ed incontaminate. D’altra parte gli stessi Winterfylleth sono reduci da un ottimo lavoro in chiave acustica, “The Hallowing Of Heirdom”, e anche Dan Capp ha già avuto modo di dimostrare la sua padronanza della materia con il primo album registrato come Wolcensmen, “Songs From The Fyrgen”. Per questo nuovo album, l’artista inglese ha scritto un vero e proprio racconto breve, che narra le vicende di un giovane uomo impegnato nel classico viaggio verso la propria maturità, accompagnato da creature e figure leggendarie: fanciulle eteree, cigni, esseri simili a nani e via dicendo. Tutti espedienti letterali che affondano le proprie radici nella letteratura di genere, da Tolkien al ciclo arturiano, e che vengono trasformati in musica grazie allo stile ipnotico e misterioso di Capp.
Le composizioni di “Fire In The White Stone” vengono costruite intorno a delle cellule melodiche semplici, basate sulle chitarre acustiche, e su linee vocali misurate, mai aggressive o incalzanti. Su questa nocciolo, il musicista va a ricamare con il resto degli strumenti, talvolta appoggiandovi un essenziale tappeto ritmico, altre volte impreziosendolo con efficaci interventi di alcuni ospiti, come Jo Quail al violoncello, Jake Rogers al flauto o Aslak Tolonen dei Nest al kantele finlandese. Molto spesso, invece, sono le tastiere e i synth a fare la differenza, adagiandosi come un velo intorno al pizzicare delle corde e dando un taglio più sintetico a certi passaggi.
Non rimane, quindi, che dedicare qualche breve considerazione all’efficacia della scrittura di Capp, che presenta diversi punti di interesse ma, al tempo stesso, finisce per inciampare sui propri passi quando non perfettamente controllata. Le composizioni più efficaci, infatti, si dimostrano quelle più brevi, dove la struttura minimale della scrittura permette all’ascoltatore di immergersi nell’atmosfera bucolica dell’album senza mai cedere il passo alla stanchezza. E’ questo il caso di di “Hunted”, degli strumentale acquerellati come “The Woodwose”, o della danza delicata e spettrale di “Maidens Of The Rimeland”. In altre occasioni, invece, Dan Capp sembra perdersi un po’ per strada, costruendo delle composizioni dilatate, che si esaurirebbero tranquillamente nell’arco dei primi tre-quattro minuti, risultando anche efficaci, e che invece finiscono per vagare senza una direzione artistica precisa (citiamo a titolo di esempio “Lorn And Loath” o la conclusiva “Fire In The White Stone”). Probabilmente, ma non possiamo verificarlo senza avere tra le mani il racconto che ha ispirato la composizione dell’album, certi passaggi così insistenti assumono un ruolo più chiaro alla luce della narrazione testuale, ma nel nostro caso siamo chiamati a dare un giudizio su un prodotto discografico e non possiamo fare a meno, quindi, di rilevare questo disallineamento. Superato l’ostacolo di un songwriting non sempre fluido, quello che rimane è comunque un viaggio affascinante, perfetto da gustare nel silenzio, magari davanti al crepitare di un fuoco, immaginando luoghi lontani, liberi dalla frenesia del mondo moderno.