7.0
- Band: WOLFHEART
- Durata: 00:49:20
- Disponibile dal: 16/09/2022
- Etichetta:
- Napalm Records
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Mentre nel metaverso di Gothenburg la popolazione virtuale si divide tra chi acclama i The Halo Effect come nuovi salvatori della patria e chi invece attende il ritorno degli In Flames, nella vicina Finlandia zitti zitti da più di due decadi si susseguono album che portano avanti la tradizione primigenia del melo-death scandinavo, tra omaggi al passato e piccole variazioni sul tema. In questa corrente possiamo a buon diritto iscrivere i Wolfheart, nati dopo lo scioglimento dei Before The Dawn e presto passati da progetto solista di Tuomas Saukkonen a vera e propria band: dopo un paio di dischi di rodaggio il giardiniere vichingo sembra aver trovato la formula vincente a partire da “Constellations Of The Black Light”, e nonostante una media compositiva d’altri tempi (con questo siamo a sei full-length in nove anni) la qualità si mantiene sempre su livelli più che discreti. Nello specifico, in quest’occasione i quattro sembrano spingere ancora più sul fronte degli arrangiamenti, e così fin dall’opener “Skyforger” veniamo trasportati tra le nevi perenni della Finlandia e le miniere di Moira grazie alla commistione tra atmosfere evocative ed il drumming martellante di Joonas Kauppinen. Una partenza col botto, cui segue la sorprendente “Ancestor” dove le gelide atmosfere del nord si fondono con un riff in stile Killswitch Engage, perfetto per dare appunto spazio a un Jesse Leach ben integrato nell’economia del pezzo; tutto questo senza nulla togliere all’altro ospite Karl Sanders, cantante dei Nile il cui growl non cambia tuttavia le sorti della comunque valida “Cold Frame”. L’altra novità è l’ingresso in formazione del chitarrista greco Vagelis Karzis (gemello minore di Lambesis in quanto a prestanza fisica), le cui voci pulite aggiungono una patina più ruffiana a pezzi come “Knell”, “Desolated Land” o “Headstones”, completati da un pizzico di barocchismo a là Wintersun e dall’epica ‘un tot al chilo‘ degli ultimi Amon Amarth. Non tutto funziona alla perfezione (“The King” ad esempio non ci convince come primo singolo, mentre “Eternal Slumber” si spinge forse troppo oltre con il cantato pulito) e qualcuno potrà obiettare che i Wolfheart sono ormai la rendita mensile di Saukkonen (in procinto peraltro di riesumare i Before The Dawn), ma pur senza il cappello di Archimede “King Of The North” si conferma un disco solido per gli amanti della mitologia nordica da Ikea.