8.0
- Band: WOLVES IN THE THRONE ROOM
- Durata: 00:44:31
- Disponibile dal: 20/08/2021
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Sempre uguali e sempre cangianti, come un vento di montagna. Avvolgenti, eppure in grado di sorprendere nella loro evocativa costanza, come il ciclo della Natura a cui guardano da sempre con occhi stupefatti e felici. Difficile trovare nuove definizioni o metafore per il sound della band dei fratelli Weaver, peraltro ormai un trio a tutti gli effetti, dal momento che il vecchio amico e collaboratore Kody Keyworth è diventato parte integrante del gruppo anche in fase compositiva. Con il suo arrivo, poi, per la prima volta la band di Olympia cura anche da sola produzione e mastering del disco, a conferma di una netta attitudine da entità organica e autosufficiente.
Come ci ha confermato Aaron in fase di intervista, è in questo che risiedono i principali elementi di novità e di freschezza di “Primordial Arcana”, un album in cui i riff di Keyworth mettono in mostra non pochi richiami al death metal e persino al doom nei momenti più riflessivi, oltre a donare, nel complesso, una certa aura ‘retro’. Essa è ben evidente nei riff di brani come l’opener “Mountain Magick” o “Through Eternal Fields”, dove comunque i Wolves In The Throne Room riescono a indurirsi, senza però perdere la loro identità; mostrando delle radici musicali più variegate, in cui tuttavia la stella polare del black metal atmosferico non viene comunque persa di vista. Con esiti opposti, guarda a un passato glorioso del metal anche “Primal Chasm”: epica, quasi bathoriana nella sua cadenza dilatata, su cui solo la batteria accelera qua e là, quasi a simulare tuoni nei cieli del nord.
Gli altri brani hanno sonorità più canoniche e vicine a quanto ci hanno abituato a sentire in passato, sebbene non manchi una certa ben riuscita enfasi verso il lato più folk – “Spirti Of Lightning” e i suoi effetti percussivi, quasi rituali, ne sono un ottimo esempio. Ancora “Underworld Aurora”, con la ricchezza delle tastiere e i cori campionati, è il pezzo più magniloquente del disco e assieme all’enfatico finale strumentale di “Eostre” consegna a nostro avviso anche questo disco a una sorta di tempo eterno; in perfetta sintonia con le pulsioni musicali e l’attitudine panteistica che connotano questi lupi visionari.