8.5
- Band: WOLVES IN THE THRONE ROOM
- Durata: 00:42:17
- Disponibile dal: 22/09/2017
- Etichetta:
- Artemisia Records
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Dopo la mirabile conferma di “Celestial Lineage”, l’album che li ha definitivamente consacrati nell’Olimpo del black metal, i Wolves In The Throne Room non sono certo stati sugli allori, anzi. Il seguente “Celestite” è stato un esperimento sicuramente particolare e lontano dalle loro sonorità tipiche, a parere di chi vi scrive comunque riuscitissimo, e i membri della band si sono anche dedicati parallelamente ai Drow Elixir, un progetto ambient con strumenti atipici, che ha comunque mostrato il suo fascino nelle sporadiche esibizioni dal vivo. Il dov’eravamo rimasti è quasi obbligatorio per parlare di questo nuovo e splendido “Thrice Woven”, poiché se in generale i Lupi Americani tornano sul loro sound canonico, il segno delle loro virate in territori più rarefatti si sente eccome, e i brani che compongono questo album ne sono la prova. Il loro approccio, fatto in pari misura di riff devastanti e derive ipnotiche, ricompare fortissimo fin dall’iniziale “Born From The Serpent’s Eye”, a cui basterebbe quasi il breve arpeggio inziale per trasportarci nel loro mondo: fatto di foreste, fiumi ghiacciati e paesaggi in cui perdersi senza timore. Insieme al cantato di Nathan Weaver si segnalano con forza gli inserti eterei e mirabili di Anna Von Hausswolff, presente sia qui che nella evocativa “Mother Owl, Father Ocean”; quest’ultima è la traccia più debitrice delle loro recenti derive, fatta solo di synth e cuore, e rappresenta quasi un manifesto tematico della sensibilità ecologica dei Wolves In The Throne Room, accostandosi perfettamente a “The Old Ones Are With Us”. L’amore e la stima per i Neurosis da parte dei Nostri non sono mai stati un mistero, ed ecco che l’ospitata di Steve Von Till, che in questo brano declama toccanti versi chiusi da un potente We’re becoming, funge in qualche modo da panteistico proclama, tanto musicale quanto filosofico. Il brano, peraltro, è tra i più evocativi proposti dalla band americana, maestoso e sfaccettato, e quando nella parte centrale ritorna la voce di Von Till, con aggiunta di chitarra acustica, più di un brivido percorrerà la vostra pelle. “Angrboda” prende il suo nome dalla mitologia norrena, e il presagio di male a cui fa riferimento è qui espresso grazie ai riff ribassati e dilatati oltre misura e una seconda parte che nuovamente sceglie la via di una chitarra acustica diafana e oltremodo evocativa. Piccole, grandi novità che sicuramente devono molto all’ingresso ‘ufficiale’ in formazione dello storico chitarrista live Kody Keyworth, entrato in pianta stabile e anche in fase creativa nella band. La conclusiva “Fires Roar In The Palace Of The Moon” è, semplicemente, il Cascadian Black Metal all’alba del 2017 in dodici minuti scarsi: con le giuste sfuriate – in grado di portare sugli scudi anche Aaron – gli ormai consolidati innesti ambient e i loro riff senza conclusione, proprio come il ciclo della Natura, fino allo sciabordio dell’oceano che pervade gli ultimi minuti. Al solito, in soli tre quarti d’ora, i Lupi riescono a trasportarci in mondi interiori profondissimi; ancora più del solito, ci costringono a riascoltare l’album dozzine di volte, ammaliandoci.