WOLVHAMMER – Clawing Into Black Sun

Pubblicato il 16/07/2014 da
voto
7.0
  • Band: WOLVHAMMER
  • Durata: 00:46:52
  • Disponibile dal: 08/07/2014
  • Etichetta:
  • Profound Lore

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Fortuna che ci sono gli Wolvhammer a ricordarci quanto fa schifo il mondo. Questa band è una vera e propria topaia musicale. Una band-discarica che ad ogni uscita torna con lavori corrosi e luridi da far impallidire, sempre accompagnata da un gran tanfo di immondizia, lerciume di ogni sorta e degrado del livello più basso e infimo che si possa immaginare. Senza disdegnare le melodie emaciate e disperate che la band prende in prestito direttamente da famose realtà post-punk degli eighties (Bauhaus, Killing Joke e Joy Division in primis), la formazione è sempre stata abilisssima nel tessere poi le trame del black metal lurido, mortifero e cadenzato di band come Burzum e Shining per mescolralo con gli energici e sferzanti spasmi di rabbia e disagio del primo crust: Amebix, Anti-cimex, Crass, Totalitar e Rudimentary Peni in primo luogo, ma non solo. Rispetto ai lavori precedenti, questo nuovo “Clawing into Black Sun” sembra addirittura più emaciato, corroso, disperato e degradato di prima, forse anche il risultato della dipartita del secondo chitarrista Andy Schoengrund, poi mai rimpiazzato, che sembra aver semplificato di molto il riffing e il songwriting in generale. Il gruppo predilege ora un mid tempo sguaiato e isterico che mantiene l’intero lavoro a livelli pregevoli di melodia e che permette allo zozzume totale che permea la musica della band di fluire senza trovare ostacoli, permeando la musica dei Nostri di una disperazione inconsolabile e di una decadenza quasi pestilenziale. I precedenti “The Obsidian Plains” e “Marketeers of World War III” erano lavori ben più intensi e dettati da una urgenza ben più palpabile del nuovo disco in questione. In quei capitoli, thrash, d-beat, black metal famelico e tendenze post-core facevano il buono e il cattivo tempo, spingendo i Wolvhammer in territori sonici irrequieti e funesti in cui la rabbia e l’angoscia del punk si scontravano frontalmente con le ire nefaste del black metal provocando dolorosissime implosioni di melma sonica nerissima e coagulata come sangue rappreso in metastasi di dolore e violenza. “Clawing into Black Sun” invece è un lavoro molto più aperto, arioso e pacato, e anche piu’ schivo e chiuso in sè, se vogliamo. Appare molto più sconsolato e privo di speranza. Le melodie che propone sembrano quasi la mano tesa di un malato terminale che vi prega di sparargli in fronte e porre fine ad ogni sua sofferenza. I riff sono cadenzati e lugubri arpeggi di malessere che cadono come fossero in una precarissima sospensione, quasi come fossero cenere che fluttua nell’aria. Si percepisce il tanfo di morte e decadimento ovunque in questo disco. le atmosfere sono lercie e tese, trasmettono un senso costante di putrefazione e sfacelo. Melodie e arpeggi che cedono come carne tumefatta e divorata dai vermi, che si stacca dalle ossa a brandelli senza incontrare resistenza… Ciliegina sulla torta, una produzione da vera discarica, da vera e propria fossa comune: suoni saturi di fuzz, batteria marziale e gelida, basso pulsante e dal suono quasi “affannato”, quasi strozzato o soffocato, e chitarre che ronzano come mosche su un cadavere. Siamo davvero al cospetto di un disco borderline per la sporcizia trasmessa. Un disco che, data la evocatività debordante che trasmette, ribolle di personalità e sta su un pianeta concettuale tutto suo. La semplicità dei riff e il generale arretrare del songwriting in favore di soluzioni compositive più scarne, semplici e viscerali forse si mostrano come un generale passo indietro rispetto al grandissimo precedente “The Obsidian Plains”, ma non si può negare che anche in questa sede i Wolvhammer abbiano mostrato di essere una band dalla personalità unica, che fa musica personalissima e senza badare tanto a mode passeggere o ai trend del momento. Casomai, il generale “rilassamento” e ammorbidimento della musica puo’ essere visto in questo caso come una virata dei nostri verso lidi piu’ post-punk, un mondo a cui il chitarrista Jeff Wilson e’ notoriamente assai attratto (vedasi la sua militanza nei gothic rockers Liar in Wait). La terza irreprensibile conferma consecutiva è comunque una realtà innegabile per i Wolvhammer; non una cosa da molti. Applausi.

TRACKLIST

  1. The Silver Key
  2. Clawing into Black Sun
  3. Slaves to the Grime
  4. The Desanctification
  5. Lethe
  6. In Reverence
  7. Death Division
  8. A Light That Does Not Yield
2 commenti
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