7.0
- Band: WOMBBATH
- Durata: 00:42:24
- Disponibile dal: 14/03/2025
- Etichetta:
- Pulverised Records
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Dopo una carriera che ha visto i Wombbath risorgere dagli abissi dell’underground, con numerosi lavori pubblicati nell’ultimo decennio, “Beyond the Abyss” conferma l’alta produttività del gruppo svedese, presentandosi come un’opera che danza sul confine tra inventiva e tradizione.
Sin dalla reunion nel 2014, la band ha ridefinito il proprio sound, avvicinandosi maggiormente alle sonorità tipiche della scuola svedese – quelle care a Entombed, Grave e Dismember – prendendo le distanze dall’approccio più britannico del debutto “Internal Caustic Torments” (1993), che a livello di resa sonora era curiosamente affine al circuito britannico, ricordando spesso i Benediction e i Cancer dell’epoca.
Dopo aver vissuto anni di oblio, una volta tornati in attività, i Wombbath si sono dunque reinventati, abbracciando un’identità mutevole che li ha portati a confezionare dischi sempre piuttosto diversi dai capitoli precedenti, anche se comunque indissolubilmente legati a certi stilemi della tradizione. Se il precedente, lunghissimo, “Agma” era un labirinto tentacolare con sedici tracce e una molteplicità di voci compositive, “Beyond the Abyss” si incarna in una forma più snella e coesa, ma non per questo priva di sorprese. Pur mantenendo saldo il legame con le radici death metal più classiche, la band introduce alcuni elementi curiosi, prendendosi qualche rischio con l’uso di synth – evidenti soprattutto nella solenne “Deep Hunger” – e di strumenti inusuali come sax e violino, che emergono in certe parentesi, donando un taglio meno prevedibile alla formula.
Per il resto, l’album si muove su coordinate death metal solide, con la chitarra che ruggisce nella più pura tradizione svedese, ma senza fossilizzarsi su schemi troppo rigidi. Il pezzo d’apertura, “Words Unspoken”, imposta subito il tono con un attacco che, al di là di un velo di tastiere, sa di Grave di una volta, mentre il proseguo della tracklist lascia anche spazio a episodi che si discostano dalla brutalità pura, evocando atmosfere cupe e solenni. Non mancano qui, come accennato, richiami a influenze più eclettiche: se in alcuni momenti sembra di percepire lo spirito istrionico degli Edge of Sanity, in particolare di un album generalmente molto aggressivo come “Infernal”, un brano come “Consumed By Fire” si impone facendo emergere una severa anima death-doom vicina a quella dei primissimi Paradise Lost.
Questa varietà stilistica, che potrebbe sembrare disorientante, si rivela invece un punto di forza, mantenendo viva la tensione narrativa dell’album. In effetti, “Beyond the Abyss” riesce a evitare la prevedibilità di alcuni dei lavori post-reunion e, al tempo stesso, non si disperde come il mastodontico “Agma”. Certo, non tutto è perfetto: la scrittura mostra qualche discontinuità qualitativa e alcuni brani non colpiscono nel segno con la stessa incisività di altri. Tuttavia, la combinazione tra la vaga vena sperimentale e radici old school crea un’atmosfera che tiene appunto abbastanza alta l’attenzione, regalando alcuni momenti di autentico guizzo creativo.
Nonostante non si possa parlare di uno “stile Wombbath” ben definito, il disco riesce quindi a intrattenere, colpendo qua e là con una manciata di soluzioni tutto sommato inaspettate. Per chi ha sempre seguito la band, si tratterà probabilmente di un’aggiunta interessante alla propria collezione/playlist, mentre per tutti gli altri rappresenterà comunque un esempio di death metal classico competente nell’interpretazione e nella resa sonora, con in più qualche trovata lontana dalla banalità.