6.5
- Band: WORM OUROBOROS
- Durata: 01:04:03
- Disponibile dal: 02/12/2016
- Etichetta:
- Profound Lore
- Distributore: Audioglobe
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Gli statunitensi Worm Ouroboros nascono nel 2007 dall’incontro tra Lorraine Rath (voce, basso) e Jessica Way (voce, chitarra) e giungono quest’anno alla pubblicazione del loro terzo lavoro, per il quale la band utilizza la descrizione di ‘dark ethereal doom’. Pur non essendo fissati con le etichette, bisogna dire che in questo caso la descrizione risulta piuttosto accurata: l’inesorabile ed ipnotica lentezza del doom, infatti, si sposa con le rarefatte atmosfere sognanti costruite dal trio americano, il tutto avvolto in una coltre di ombra e malinconia figlia della darkwave. Gli Worm Ouroboros declinano la loro proposta musicale in sei lunghe composizioni, che vanno dagli otto ai tredici minuti di durata e che procedono per lenta e costante costruzione: nella maggior parte dei casi sono le voci flebili e sussurrate che si intrecciano con le chitarre, per poi innalzare, pietra dopo pietra, un’architettura in cui si sommano basso, batteria e distorsioni. La pesantezza del gruppo non diventa mai insostenibile, tutt’altro: nella maggior parte dei casi a farla da padrone sono proprio i passaggi più onirici e ossessivi. Da questo punto di vista, risulta quasi spiazzante il brano di apertura, “Day”, dove scorrono ben sette minuti tra gocce di chitarra, spazi vuoti, percussioni appena sfiorate e voci che si dilatano e avvolgono, prima di raggiungere il tormentato ed efficace climax. Meno destrutturati, invece, i pezzi successivi, a partire da “Broken Movements”, dove la band parte nuovamente da pochi elementi per andare pian piano ad articolare la sua musica, con una forma, in questo caso, più focalizzata. Questa struttura sembra ripetersi in quasi tutte le tracce dell’album e a variare sono le sfumature, gli accenti e le intensità, con un picco massimo raggiunto nella lunga e drammatica “Ribbon Of Shadow”. Purtroppo questo stile dilatato e ripetuto necessita di numerosi ascolti e una certa predisposizione per la corretta fruizione e rischia di risultare un po’ troppo omogeneo. Questo per fortuna non affossa il risultato finale, che rimane assolutamente degno di attenzione ma, a parere di chi scrive, una maggiore varietà nel songwriting ed una più spiccata accentuazione dei contrasti, avrebbe permesso a questo lavoro di centrare pienamente l’obiettivo.