8.0
- Band: WREN
- Durata: 00:35:38
- Disponibile dal: 21/02/2025
- Etichetta:
- Church Road Records
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La rivoluzione industriale novecentesca in Inghilterra ha avuto, tra i tanti effetti a lungo termine ambientali e sociali, i Godflesh e con loro un intero quarto stato di band ispirate da un lavoro senza fine lungo le catene di montaggio e dalla cieca obbedienza al motto “produci/consuma/crepa” di ferrettiana memoria.
I Wren, da Londra, appartengono ad una delle generazioni successive alla diaspora creativa dei Napalm Death e si sono fatti conoscere con due album, il debutto “Auburn Rule” del 2017 ed il successivo “Groundswells”, uscito durante la pandemia con la supervisione di Magnus Lindberg dei Cult of Luna. Questi lavori, insieme ad una nutrita serie di singoli e EP, sono serviti ad abbrunare il suono della band, che ha assimilato progressivamente influenze da luoghi altrettanto grigi (il Belgio degli Amenra, ad esempio) fino a rielaborare l’impensabile, come dimostra la plumbea cover di “Electricity” di Captain Beefheart and His Magic Band, pubblicata in origine nel 1967 e di cui vi consigliamo l’ascolto di entrambe le versioni.
Dopo l’uscita di “Groundswells” e fino ad oggi, la band ha sfruttato l’opportunità di recuperare il tempo perduto dal vivo, condividendo il palco con spiriti affini quali gli Inter Arma (durante il tour di supporto a “New Heaven”) e partecipando a festival inglesi come il Damnation e o l’ArcTangent.
“Black Rain Falls” fa tesoro di tutte queste esperienze e rinuncia a qualsiasi elemento melodico, poggiandosi su arrangiamenti che spesso si riducono a scansioni metronomiche, mentre un muro di suoni elargisce all’ascoltatore appena l’ossigeno per rimanere cosciente.
A partire dall’apocalisse nucleare ammirata dallo spazio in “Flowers On Earth” (una litania funebre cadenzata da accordi elettrici e ritmiche marziali), passando per l’abbagliante noise di “Toil in the Undergrowth” (dove l’influenza di Justin Broadrick, tra voci trattate e basso ipnotico, si fa più evidente) ed il post-metal privato di qualsiasi emozione di “Betrayal Of The Self”, i Wren si muovono sul pentagramma con un approccio oltranzista, tra i Neurosis di “Soul At Zero” (che ispirano i riff di apertura del singolo “Metric Of Grief”), i Correction House di Scott Kelly e appunto i Godflesh, dove si rallenta il passo solo per arrendersi e affondare (“Precede The Flint”).
“Black Rain Falls” è quindi una notte senza stelle che preannuncia un’alba grigia, un messaggio senza speranza che succede di quarant’anni ad un’antica canzone ecologista di Guccini, “Il Vecchio E Il Bambino”, ma il bimbo ora non ricorda più chi gli narrava di quando tutto era verde, lavora dieci ore al giorno in quelle torri di fumo che sono anche la prima cosa che vede la mattina appena sveglio, oltre le finestre annerite dallo smog.
Al terzo disco, i Wren raggiungono quindi la piena maturità, con un’opera che fa della coerenza stilistica un’arma di offesa, ed un pugno di canzoni che meritano rispetto ed ascolti pazienti.