7.5
- Band: WYTCH HAZEL
- Durata: 00:46:40
- Disponibile dal: 04/07/2025
- Etichetta:
- Bad Omen Records
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C’è un libro nell’Antico Testamento, tradizionalmente attribuito al profeta Geremia, chiamato il “Libro delle Lamentazioni”. Si tratta di una raccolta di cinque poemi lirici, in cui l’autore contempla la distruzione di Gerusalemme, che diventa metafora dell’animo umano, della sua desolazione, delle sofferenze patite e lo sconforto di chi è costretto a guardare solo miseria e distruzione.
Il quinto album dei Wytch Hazel porta il medesimo titolo e non è difficile trovare un parallelismo con il testo biblico, considerando la forte componente cristiana presente nella musica della formazione inglese. Un parallelismo che diventa ancora più evidente se si considera la vicenda umana del leader, Colin Hendra, che negli ultimi anni ha attraversato una fase molto difficile della sua esistenza, con problemi di salute importanti che hanno ritardato l’uscita di questo lavoro.
Il processo di scrittura di “Lamentations”, infatti, è stato quasi contemporaneo a quello del suo predecessore, “Sacrament” (2023), tuttavia la finalizzazione delle canzoni e le sessioni di registrazione hanno subito una notevole battuta d’arresto, fortunatamente risoltasi a distanza di un paio d’anni (un tempo più che accettabile, nel mercato discografico odierno).
Date queste premesse, dunque, non stupisce scoprire come “Lamentations” sia a tutti gli effetti una conferma di quanto avevamo potuto apprezzare nel 2023, un album che è figlio dello stesso momento di ispirazione e che, pertanto, lavora soprattutto di cesello per affinarne le migliori caratteristiche.
I Wytch Hazel suonano un proto-heavy metal molto tradizionale, che guarda alle sonorità a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta: Thin Lizzy, Wishbone Ash, gli Iron Maiden meno irruenti, fino a certe sfumature folk e progressive che sarebbero piaciute tanto ai Jethro Tull di Ian Anderson.
Abbiamo quindi brani più diretti e taglienti, come l’iniziale “I Lament”, cavalcate dal sapore maideniano come “Run The Race”, momenti di hard rock fiabesco in puro stile Uriah Heep (“The Demon Within”), per arrivare composizioni più stratificate e progressive come “Healing Power”, che chiude il disco come una sorta di manifesto. Ancora una volta, infatti, la musica e l’arte diventano fonte di guarigione per le sofferenze terrene, un balsamo intangibile e miracoloso che riesce ad assorbire il nero viscoso del dolore e a purificarlo, dandogli uno scopo ed un senso.
A noi, come ascoltatori, resta quindi un altro disco di valore, che non rivoluziona, non inventa nulla, ma riesce a rendere giustizia non solo alla carriera dei Wytch Hazel, ma anche a quelle radici rispetto alla quali è sempre difficile confrontarsi. A questo punto, con la speranza che il peggio sia definitivamente passato per Colin, non ci resta che aspettare fiduciosi anche il sesto capitolo e vedere quali strade si apriranno di fronte a questi ottimi artisti.