7.5
- Band: YES
- Durata: 00:63:35
- Disponibile dal: 19/05/2023
- Etichetta:
- Inside Out
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Non sono passati nemmeno due anni dalla pubblicazione di “The Quest”, ma evidentemente la vena artistica degli Yes è tutt’altro che esaurita e oggi possiamo già parlare del loro ventitreesimo album in studio. In questi ultimi due anni la band ha dovuto subire l’ennesimo scossone, a causa della scomparsa di Alan White, che lascia il solo Steve Howe come erede della formazione storica degli anni Settanta. Detto questo, il fatto di avere a che fare con una band completamente diversa non stravolge il sound degli Yes, merito della scelta oculata di ogni singolo componente: il tastierista Geoff Downes ha una lunga storia nella Yes-family e il suo stile misurato ed elegante si adatta alla perfezione a questa fase matura e meno irruente della band. Discorso molto simile si può fare anche per il bassista Billy Sherwood, erede diretto di Chris Squire che, anzi, in quest’album emerge con grande forza, disegnando linee di basso di assoluto valore. A completare la line up, quindi, abbiamo Jon Davison, che ormai conosciamo bene grazie al suo timbro così simile a quello di Jon Anderson, e Jay Schellen, batterista che ha seguito la band fin dal 2016, come sostituto e/o supporto allo stesso Alan White, che risulta quindi ben integrato nello stile e nelle dinamiche del gruppo.
Dal punto di vista musicale, “Mirror To The Sky” rappresenta la naturale evoluzione di “The Quest”, complice anche il fatto che i due album siano stati composti praticamente senza soluzione di continuità. Come racconta la band, infatti, le sessioni di scrittura di “The Quest” sono state talmente serene e prolifiche da convincere gli Yes a prolungare il tempo di permanenza in studio, continuando ad alimentare questa ispirazione, piuttosto che a postporla.
Sarebbe sbagliato, però, considerare questa nuova fatica come una semplice riproposizione di quanto ascoltato su “The Quest”, o peggio ancora una raccolta di scarti del precedente disco: gli Yes, infatti, hanno parzialmente abbandonato quei territori così pacati e quieti che avevamo evidenziato nella precedente recensione, andando invece a recuperare una parte di quello spirito tipicamente progressive che ha caratterizzato la loro musica.
L’album si apre con “Cut From The Stars”, un pezzo brillante, con un ottimo dialogo tra i vari musicisti e le sempre pregevoli armonie vocali marchio di fabbrica della formazione inglese, ma è con i due brani successivi che il lavoro della band si fa più profondo. Due canzoni di nove minuti ciascuna: la prima, “All Connected”, è un concentrato di eleganza, con uno Steve Howe sempre eccelso alla sua pedal steel guitar; mentre la seconda, “Luminosity”, si fa più pacata, come una lunga meditazione immersi nella luce e nella Natura, che si conclude con un lungo assolo di chitarra, accompagnato da un raffinato accompagnamento orchestrale.
Dopo una parentesi più lineare (e anche meno interessante), rappresentata da “Living Out Their Dream”, si arriva al vero apice dell’album con la title-track, una lunga suite di quattordici minuti che rappresenta al meglio lo stato di salute degli Yes di oggi: c’è la grandeur sinfonica, grandi passaggi di chitarra, armonie vocali di squisita fattura e ritmiche sempre dinamiche e stimolanti. Giunti verso la fine, invece, “Mirror To The Sky” si fa di nuovo meditabonda, con una parentesi acustica seguita a ruota da un maestoso finale orchestrale di grande effetto. Il disco, infine, si congeda con “Circles Of Time”, che recupera la dimensione acustica e bucolica della band, per un commiato sereno e delicato. Esattamente come successo per “The Quest”, infine, anche il nuovo album degli Yes porta in dote un secondo disco, contenente tre bonus track, tutte firmate dal solo Howe, che questa volta però ci sono parse meno interessanti rispetto a quelle pubblicate nel 2019.
Anche questa volta, quindi, apprezziamo la volontà degli Yes di continuare a percorrere la propria strada, rispettando ed omaggiando il proprio passato, ma con uno sguardo ancora rivolto con caparbietà al futuro. È vero, la band che ha registrato “Close To The Edge” o “Tales From Topographic Oceans” non esiste più, ma se siete tra coloro che hanno seguito e apprezzato gli Yes nelle loro innumerevoli incarnazioni, con “Mirror To The Sky” avrete un altro capitolo di valore da aggiungere alla vostra già nutrita collezione.