6.5
- Band: YNGWIE MALMSTEEN
- Durata: 00:57:52
- Disponibile dal: 29/03/2019
- Etichetta:
- Mascot Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Non sono in pochi a ritenere che la leggenda del mitico chitarrista svedese Yngwie J. Malmsteen sia da collegare principalmente a quanto fatto nella prima metà della sua illustre e iconica carriera, a prescindere da che si tratti di uno dei suoi innumerevoli album solisti o di uno dei vari progetti in cui ha avuto modo di militare nel corso degli anni. A dire il vero riteniamo si possa definire come un’ovvietà abbastanza palese, anche perché si tratta di un ragionamento che si potrebbe fare per un numero alquanto nutrito di artisti di vario genere; che poi si possa facilmente concordare riguardo al fatto che le ultime produzioni ad opera di mister Malmsteen siano qualitativamente quasi inaccostabili a quanto fatto, diciamo, fino a vent’anni fa, è un altro discorso. In ogni caso, sarebbe ingiusto negare categoricamente una presenza almeno parziali di spunti piacevoli, anche perché non ci si bisogna scordare di chi si sta parlando: uno dei maestri indiscussi di un certo tipo di chitarrismo, amato da alcuni e odiato da altri, e che per questo difficilmente potrà mai confezionare un prodotto completamente da bocciare.
Il nuovo – e quasi inaspettato – lavoro in studio, intitolato “Blue Lightning” corrisponde pienamente a questa ricostruzione, trattandosi sin dalle prime analisi di un’opera che senz’altro farà discutere una folta schiera di ascoltatori per via della sua struttura relativamente atipica: parliamo infatti di una tracklist anche piuttosto lunga, ma composta quasi interamente da cover e omaggi vari ad alcuni grandi artisti appartenenti ad un’epoca passata del rock, prontamente riadattate e arrangiate in modo da corrispondere perfettamente allo stile peculiare del vulcanico suonatore di Fender Stratocaster. Lo shredding più puro e di ispirazione neoclassica, reso famoso proprio dal Maestro e da alcuni colleghi, la fa infatti facilmente da padrone, al punto da rendere la chitarra solista la vera protagonista di ogni singolo estratto, a prescindere da quella che fosse l’essenza dei pezzi originali. Chiaramente si tratta di riadattamenti che potrebbero esaltare molti estimatori del genere, così come causare forti crisi di nervi a svariati altri; noi personalmente ci schieriamo nel mezzo, dal momento che abbiamo trovato davvero ispirate e fomentanti diverse cover, così come abbastanza inutili e plasticose alcune altre, ma preferiamo non entrare nel dettaglio, in modo da lasciare a voi lettori il compito di giudicare in prima persona a seconda dei vostri gusti.
Tuttavia, fortunatamente, trovano spazio all’interno dell’album ben quattro inediti, legati tra loro da alcune peculiari soluzioni stilistiche piuttosto vicine al rock tradizionale, anche se alcuni appaiono decisamente più appariscenti di altri: in particolare “Sun’s Up Top’s Down” ci ha lasciato lievemente interdetti, per via del suo sapore decisamente bluesy e basato interamente, per l’appunto, su un giro di blues che non potrebbe apparire più semplice e scolastico, nonostante le centinaia di note sparate a mitraglia che compongono il comparto solista.
Musicalmente l’intero prodotto può godere di alti e bassi a seconda dei gusti personali: a livello chitarristico, se si è dei fan di Yngwie risulta impossibile non trovare dei momenti di fomento assoluto, mentre invece i cantanti si sentiranno leggermente messi da parte, poiché le doti canore dell’uomo il cui nome spicca sulla copertina non rendono minimamente giustizia alla sfilza di voci leggendarie che hanno avuto modo di militare nella sua band anni addietro. Anche la produzione appare volutamente piuttosto grezza, ma è risaputo che il Maestro non sia propriamente un estimatore delle soluzioni moderne o pretenziose.
Non è semplice esprimere un giudizio il più oggettivo possibile su questo nuovo “Blue Lightning”, dal momento che parliamo indubbiamente di un prodotto controverso, tramite il quale mister Malmsteen intende evidentemente porgere un sentito omaggio ad un intero capitolo della storia del rock da una parte, così come a se stesso dall’altra. Ciò potrebbe senz’altro farci etichettare l’album come una mera operazione commerciale e/o nostalgica, ma è anche vero che l’anima del Maestro è stata riposta tutta nelle singole esecuzioni, il che impone a chi vi scrive, in quanto chitarrista e suo estimatore da parecchio tempo, di chiudere più di un occhio sugli evidenti limiti del lavoro qui trattato.
Se amate Yngwie e il suo stile, così come il suo incarnare quasi una sorta di simbolo superstite di un’epoca che probabilmente non tornerà più, riuscirete a sorridere spontaneamente durante l’oretta scarsa necessaria a completare l’ascolto. Se invece non siete più interessati a un certo modo di presentare non solo la chitarra, ma la musica in sé, allora passate pure oltre senza nessun rimpianto; piuttosto, recuperate uno qualsiasi dei tanti lavori disponibili sul mercato in cui Yngwie ha già avuto modo di dare il meglio di sé, poiché di pietre miliari ce n’è a bizzeffe e questo nessuno lo può negare.