6.5
- Band: YNGWIE MALMSTEEN
- Durata: 00:56:29
- Disponibile dal: 23/07/2021
- Etichetta:
- Music Theories Recordings
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Ad oltre quarant’anni dal suo esordio sulle scene in giovanissima età, quello che è forse il più radicale e tagliente tra tutti i grandi chitarristi moderni continua imperterrito a percorrere un sentiero artistico non esattamente sprovvisto di inciampi; anzi, potremmo dire che dalla fine degli anni ’90 in poi la carriera dell’inarrestabile guitar hero svedese Yngwie J. Malmsteen si sia composta di lavori dalla qualità invero piuttosto altalenante, soprattutto se paragonati a quella sfilza inarrivabile di capolavori non solo di guitar work, ma di songwriting in generale, che sono ancora oggi le sue prime opere.
Il nuovissimo “Parabellum” non tradisce in alcun modo l’entità ormai inscalfibile del Maestro, dal momento che ogni soluzione è esattamente quella che ci si aspetterebbe di trovare in un prodotto che porta il suo nome in copertina, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo della sua iconica Fender Stratocaster, con la quale egli trascende il concetto di virtuosismo neoclassico al cento per cento, con tanto di immancabili citazioni a Sua Maestà Paganini, il cui repertorio continua a risultare una fonte di ispirazione pressoché inimitabile, anche se ogni tanto ci piacerebbe vederlo valorizzato in maniera più approfondita e meno ridondante.
La iniziale “Wolves At The Door” colpisce in pieno l’ascoltatore come una spada ben affilata, in perfetto stile Yngwie, con un incedere adrenalinico e una doppia cassa da headbanging sfrenato, il che ci ricorda perché molte formazioni di genere heavy/power metal continuino ad attingere così tanto dal suo peculiare stile compositivo; anche se, inutile negarlo, il vero punto debole in un pezzo del genere risiede nel comparto vocale, che pur non essendo sgradevole come molti affermano, decisamente fa sentire la mancanza di un’ugola incazzata e squillante come quella di certi mostri sacri che hanno occupato in passato il posto dietro al microfono, ora gestito interamente dallo stesso Yngwie.
Il fatto che in scaletta solo quattro tracce siano dotate di parti cantate può quindi essere visto come un fattore positivo o negativo, a seconda dei gusti dell’ascoltatore, e, neanche a dirlo, la strumentale “Presto Vivace In C# Minor” rievoca quelle atmosfere quasi tragiche da orchestra tanto care al Maestro, il cui tocco rimane sempre e comunque unico, e chi non digerisce quell’estro solista reso popolare proprio da lui di certo non cambierà idea in questa sede. A noi personalmente le sue sviolinate piacciono molto ancora oggi, così come i suoi riff carichi di epicità ben distinguibili in “Relentless Fury”, il cui inizio fomentante su velocità medie ci fa sperare in una vera e propria chicca che purtroppo non giunge mai del tutto, in quanto avremmo gradito notare magari un’accelerazione o qualche variazione in più sul tema; quando tutto ciò che ci giunge, da metà brano in poi, è una lunga sfilza di sfoggi solisti su una base anche troppo stabile. “(Si Vis Pacem) Parabellum” svolge a suo modo il ruolo di titletrack citando il celebre proverbio, e lo fa con un susseguirsi di passaggi più aggressivi e altri più lenti, sempre e comunque in chiave strumentale, differentemente dalla ballad “The Last Bliss”, che con la sua parvenza lenta e malinconica si sposa tutto sommato bene alle tonalità vocali medie predilette dal frontman qui presente, che comunque la prova migliore continua a fornirla con la sei corde, anche senza distorsione, come confermato dagli attimi conclusivi della suddetta traccia.
Da qui fino a subito prima delle battute finali troviamo un trittico di brani del tutto sprovvisti di parti cantate, con una “Toccata” tutto sommato scolastica e sprovvista di particolari guizzi, una “God Particle” decisamente più interessante e variegata, con quasi un retrogusto tormentato e introspettivo nella sua essenza impetuosa, e infine una “Magic Bullet” fulminante e che strizza parzialmente l’occhio a quanto fatto in produzioni più recenti da altri colleghi dallo stile affine.
L’utilizzo della voce torna per l’ultima volta in “(Fight) The Good Fight”, che a delle strofe convincenti e pregne di gusto melodico ed evocativo, abbinate a dei ritmi non troppo serrati, alterna fasi soliste che a parer nostro iniziano a risultare parzialmente stagnanti, in questo caso in un contesto in cui non c’era bisogno di esagerare più di tanto, ma è anche vero che chiedere al Maestro di pigiare troppo il freno non è cosa semplice, anche perché non dimentichiamoci che stiamo parlando di un ferrarista coi fiocchi.
Il tutto si chiude nuovamente in maniera strumentale, con una “Sea Of Tranquillity” a tratti prolissa, e per quanto lo shred forsennato di Yngwie sia sempre e comunque qualcosa di degno d’attenzione, dubitiamo sussistano motivazioni particolari per ascoltare per intero la suddetta traccia ogni qualvolta si decida di inserire nel lettore questo “Parabellum”, che alla fine della fiera riesce a portare a casa un risultato tutto sommato positivo, anche se la domanda che sorge spontanea è sempre la stessa: con delle gemme discografiche tanto scintillanti disponibili per la fruizione ancora oggi, quante possibilità ci sono che un lavoro come questo possa fare breccia nel cuore degli appassionati? A parer nostro abbastanza poche, poiché pur non mancando i punti salienti, è inevitabile che il tutto risulti abbastanza stantio nel momento in cui si effettua un inevitabile paragone con ciò che è venuto prima, ma anche con ciò che abbiamo avuto modo di gustare da altre line-up meno blasonate negli ultimi anni. Siamo d’accordo che sia un discorso applicabile a svariati artisti divenuti celebri negli anni ’80, ma è anche vero che sono tante le formazioni che in tempi recenti hanno reso perfettamente giustizia al proprio passato glorioso, confezionando album nuovi quantomeno all’altezza e degni di essere memorizzati e goduti. Per quanto riguarda il Maestro Yngwie, lo si può amare o odiare, e noi continuiamo sempre e comunque a portarlo nel cuore, ma mentiremmo se non vi dicessimo che da parecchio tempo a questa parte la minestra continui ad avere sempre più o meno lo stesso sapore.