5.5
- Band: YNGWIE MALMSTEEN
- Durata: 01:08:55
- Disponibile dal: 14/10/2008
- Etichetta:
- Rising Records
- Distributore: Audioglobe
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Ci sono mille modi per definire un lavoro di Malmsteen, e vi sono altrettanti giudizi ogni qual volta il nostro guitar hero torna in sala di registrazione per regalarci un nuovo album; purtroppo, o fortunatamente a seconda dei casi, anche “Perpetual Flame” non fa eccezione. Le novità assolute sono due e decisamente appetibili: la prima è l’ennesimo cambio dietro i microfoni con l’arrivo dell’ex Judas Priest Tim “Ripper” Owens, sicuramente uno dei più dotati singer sulla piazza, a sostituire il pur bravo Dougie White; la seconda è il ritorno di Derek Sherinian alle tastiere. Per il resto non vi sono particolari novità, con la presenza che potremmo definire dispotica di Malmsteen il quale oltre a comporre, scrivere e produrre l’album, suona la quasi totalità degli strumenti (percussioni escluse), è lead vocal in “Magic City”, arrangia l’intera opera e si preoccupa pure di arrangiare le parti affidate all’Istanbul String. Non pago, affianca Roy Z nella fase di mixaggio, e i primi dubbi arrivano proprio da mixaggio e produzione: forse i nostri non si sono resi conto che nel 2008 la tecnologia offre soluzioni più che ottime per confezionare lavori di prim’ordine, questa è l’unica giustificazione per un suono spesso confuso, schiacciato, in cui a volte non si riescono a distinguere le diverse componenti; per non parlare poi della batteria e delle linee vocali, che in alcuni episodi sono veramente scadenti. Owens in parte delude le aspettative, ma non tutte le responsabilità sono da attribuire all’ex Judas Priest: forse le sue tonalità non si addicono allo stile del guitarist svedese, infatti song di stampo neoclassico come l’opener e “The Four Horsemen” pur possedendo una melodia coinvolgente ed accattivante, scadono con la performance del singer americano; altri episodi come il mid tempo “Live To Fly” e l’ottima “Damnation Game” (per chi scrive il miglior capitolo del lotto), mostrano invece un Owens più a suo agio e a trarne vantaggio è ovviamente la qualità. Per il resto abbiamo il solito irraggiungibile Malmsteen, in cui la tecnica la fa da padrona, l’esecuzione non ha una sbavatura e il suo gusto per il barocco ha il sopravvento; da segnalare come sempre gli ottimi episodi strumentali in pieno stile malmsteeniano. Due note di (de)merito per il songwriting di “Red Devil”, brano dedicato all’amata auto Ferrari che a tratti persino imbarazza, e per la cover decisamente scadente (come un po’ tutte quelle del guitar hero svedese). In conclusione, che dire: citando Dante verrebbe da scrivere “sanza ‘nfamia e sanza lodo”, per un album in cui la qualità forse tende di più al negativo ma che sicuramente dividerà fan e critica; senza ombra di dubbio, nulla di nuovo o di trascendentale.