8.0
- Band: ZATOKREV
- Durata: 01:04:38
- Disponibile dal: 15/04/2015
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Audioglobe
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Entrare nelle atmosfere di questo quarto album degli svizzeri Zatokrev non è stato facile. Non è stato facile per la immensa gamma di suoni stratificati, per l’immane sforzo creativo profuso dalla band nel creare un vero e proprio monolite nero di musica pensante e pesante. Non è stato facile capire come abbiamo fatto a musicare l’Apocalisse e riuscendovi così bene. Non è stato facile. Ma lentamente, dopo ascolti attenti che l’istinto primordiale di conoscenza richiedeva come ossigeno, tutto è diventato più chiaro. “Silk Spiders Underwater” è un album immenso, che sfugge a ogni catalogazione, un album che scappa e non viene imbrigliato in nessuna definizione. Un album che cresce ad ogni ascolto. Diventa creatura, si trasforma, cambia fisionomia rumorosa, inganna, si traveste di ogni maschera per poi rimanere nudo e puro. Ha una doppia, tripla multipla personalità. Riesce a stupire per la grande carica emotiva e per la straripante e debordante alchimia ritmica che nasconde. Gli Zatokrev hanno scritto una pagina importante della loro carriera, iniziata una decina d’anni fa e che li ha lasciati un po’ ai margini del movimento post-hardcore mondiale. Con “Silk Spiders Underwater” potranno ambire, con giusto merito, ad una posizione più prestigiosa e meno anonima. Le derive telluriche dei Cult Of Luna dei primi due album sono solo uno spunto da cui nasce “Bleeding Island”. Nasce con intenzioni di avanguardia per evolversi in una deflagrante e schizofrenica rappresentazione della desolazione umana. “The Phantom” è sicuramente il brano più lineare e forse meno originale dell’album. La struttura richiama le articolate dinamiche più usate in ambito post-hardcore coadiuvate da chitarre che non costruiscono solo un muro di suono, ma gestiscono al meglio la tensione strumentale con frequenze dissonanti e fraseggi vicine al noise rock. “Loom” è una crepuscolare danza quasi dark aliena che ci porta ad immaginare i Zatokrev musicare un film tipo Blade Runner, dove le sincopate ritmiche quasi black metal nel finale, sono gocce di una pioggia acida che corrode un paesaggio industriale in abbandono . Ogni canzone di questo album così poliedrico ha un proprio genoma stilistico. Geni diversi che provengono da un unico ceppo. “Brick In The Sky” è una struggente ballata che culla l’anima dell’ascoltatore in una drammaticità quasi tragica mentre “Discoloration” ha tutt’altro piglio. Una melodia orientaleggiante di chitarra (che ricorda “Spinner Dunn” dei Burnt By The Sun) si trasforma in noise metal destrutturato per poi riprendersi e copulare con la melodia precedente dando vita ad una sorta di mostro noise psichedelico. La canzone più intransigente e sperimentale dell’album. Tutto questo non è sludge, nè death/doom nè tantomeno post-hardcore, quanto piuttosto creatività, musica intelligente, suonata e composta con il cuore. Un cuore ed un animo pregni di malinconia apocalittica e desolante ma anche di lucida consapevolezza, pregni di pessimismo quasi cosmico ed appunto apocalittico. Non è stato facile entrare nel mondo di “Silk Spiders Underwater”. Non è stato facile scoprire quanta bellezza si cela dietro ad un lavoro di composizione e produzione così imponente. Non è stato facile perché quest’opera resta difficile, impervia, sfuggente, quasi selvaggia. Richiede attenzione, pazienza e molta concentrazione. Per questo è così affascinante e dannatamente bella. La svolta degli Zatokrev passa da questi ragni di seta.