7.5
- Band: ZEAL & ARDOR
- Durata: 00:43:58
- Disponibile dal: 11/02/2022
- Etichetta:
- MVKA
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C’è qualcosa di più programmatico che intitolare un disco non di esordio, semplicemente, con il nome della band? L’intento sembra chiaro: tirare una linea e comunicare l’idea di un nuovo inizio a tutti gli effetti, e il risultato ci pare perseguito ottimamente.
Nelle parole di Manuel Gagneux, come noto mastermind assoluto dietro questo progetto, questo è il risultato che fin dall’inizio avrebbe voluto raggiungere dal punto di vista musicale, e quindi ben vengano lo zelo e l’ardore con cui si è impegnato a trovare la sua piena direzione. Difficile dire se le sonorità resteranno cristallizzate sui solchi qui tracciati, quello che è certo è che al traguardo del terzo full-length la sensazione di trovarsi di fronte a un progetto ‘semplicemente’ furbetto e costruito a tavolino per conquistare la frangia di pubblico più hipster risulta ormai inconsistente. Certo, c’è molta sperimentazione e pochissimo spazio per la gioia dei puristi più tetragoni; “Zeal & Ardor” è curiosamente il disco più metal e meno metal al tempo stesso uscito dalla mente del musicista svizzero, ma del resto perché porsi confini quando la materia da maneggiare è ad ampio spettro e lo si sa fare con classe? Rispetto al passato si moltiplicano l’elettronica e i droni, l’anima black si tinge vieppiù di tinte post (“Emersion”), mentre le sfuriate più estreme lo sono senza tanti compromessi: “Götterdämmerung”, tanto per citare un brano anche già edito come singolo, è una bomba black/industrial di gran caratura. I gospel del passato sono trasfigurati in una ricerca vocale sempre più spinta ed espressiva, capace di passare attraverso momenti da folk di matrice americana, cantautorato cupo (la stella polare Tom Waits è sempre nascosta poco sotto la superficie), strappi metalcore e follie à la Mike Patton, di cui Gagneux sfiora in diversi momenti estensione e potenza (il bridge di “Death To The Holy” ne è un esempio perfetto). I quattordici brani qui presenti, proprio come nei lavori del genio di Eureka, spaziano (anche al loro interno) attraverso stili e generi disparati, tuttavia alla fine dell’ascolto la sensazione di apparente schizofrenia iniziale diventa consapevolezza di aver ascoltato un disco omogeneo, quantomeno in termini di consapevolezza e direzione, se non di suoni. E che si fa riascoltare con piacere, alla ricerca di piccoli dettagli, inquietanti o esilaranti di volta in volta.
“Fu vera gloria?”, chiedeva un noto comico italiano. Non sappiamo ancora rispondere con certezza, ma sicuramente per Zeal & Ardor è finito il tempo di giocare solo a mischiare due generi distanti, e la percezione del furbacchione a caccia di consensi è ben lontana.