8.0
- Band: ZEAL & ARDOR
- Durata: 00:51:00
- Disponibile dal: 08/06/2018
- Etichetta:
- MVKA
- Distributore: Warner Bros
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Quando l’anno scorso uscì il loro disco d’esordio, “Devil Is Fine”, più di qualcuno puntò il radar sugli svizzeri Zeal & Ardor e sulla loro inedita, brillante sintesi di spiritual, black metal ed elettronica. Tuttavia, coi suoi venticinque minuti e molti intermezzi, “Devil Is Fine” era ancora toppo poco per decidere se dietro l’ambizione di tendere un fil rouge tra Bergen e la Lousiana ci fosse vera sostanza o solo uno specchietto per blackster col risvoltino. Al secondo album, quindi, l’ardua sentenza. Sentenza che non si è fatta attendere a lungo, visto che “Stranger Fruit” (titolo programmatico e carichissimo di riferimenti) è uscito a soli sedici mesi dal suo predecessore. Mettiamo le mani avanti: se siete dei puristi, questo disco non vi piacerà. Perché “Stranger Fruit” porta il metal parecchio fuori dal metal, ad un livello di contaminazione e orecchiabilità che probabilmente farà storcere più di qualche naso. Orecchiabile e contaminato, però, è ben diverso da ‘banale’. Forse non sarà la vostra tazza di tè, ma sta di fatto che alla prima prova vera e propria sulla lunga durata (quasi un’ora), Manuel Gagneux dimostra di tenere il toro ben saldo per le corna e di sapere esattamente quello che sta facendo. Il timore che la proposta degli Zeal & Ardor potesse estinguersi in una fiacca ripetizione degli stessi schemi è scongiurata: su “Stranger Fruit” la musica nera trova espressione in tutte le sue forme, dallo spiritual al blues, dal rock’n’roll primordiale al country, il tutto scandito dalle note di un pianoforte che sembra risuonare da un saloon dell’Oltretomba e da innesti presi dalle più attuali evoluzioni della nera fiamma. Le strategie di fusione tra black music e black metal, vera e propria cifra stilistica della band, prendono le mosse da “Devil Is Fine”, ma appare ancora più chiaro come a fare da collante tra i due mondi ci sia tutto un sottobosco di influenze che spaziano dalla più varia scuola scandinava all’R&B, dal folk all’immancabile componente electro. Ciliegina sulla torta, la mano sapiente di Kurt Ballou, capace di mixare con maestria il calore della voce di Gagneux con il gelo delle chitarre black. Difetti? Forse un pizzico di ridondanza (parliamo anche di brani come “The Fool”), ma si tratta di limiti perdonabilissimi su un disco che spicca comunque per maturità, originalità e freschezza. Non sappiamo se finirete per cantare “Gravedigger’s Chant” sotto la doccia, per esaltarvi sulla trascinante “Servants”, per farvi coinvolgere nella danse macabre di “Row, Row” o per sorridere mesti sulla dolente chiusura di “Built On Ashes”, che francamente sa molto più di Hozier che di Burzum. Ci riesce più facile credere che gli Zeal & Ardor finiranno per diventare, un po’ come i Ghost, uno di quei progetti ‘borderline’ che si amano o si odiano. Per quanto ci riguarda, propendiamo per la prima ipotesi.