INTRODUZIONE
Ed eccoci qui, come ogni anno a partire dal lontano 1997, a presentare uno dei festival più attesi dai metal fan che si rispettino. Metalitalia non poteva esimersi dal presentarvi uno speciale tutto dedicato alla due giorni che vi aspetterà al Mazda Palace, dove quest’anno addirittura il festival si sdoppia: sempre due giorni di musica, ma divisi in due festival “separati” e tuttavia in fondo fratelli. Il luogo rimane invece sempre quello: il favoloso Stadio Brianteo e, se l’anno scorso erano già state poche, quest’anno le pause saranno ancora di meno. In due giorni si esibiranno infatti ben venticinque band! Nelle pagine seguenti troverete tutte le informazioni necessarie a vivere il festival nel modo più felice possibile, e più precisamente: l’elenco di tutte le band presenti (con una piccola introduzione per ognuna di esse), i prezzi dei biglietti e le rispettive prevendite (non vorrete per caso rimanere senza biglietto?), tutte le indicazioni per arrivare al luogo del concerto senza perdervi nelle intricate strade della metropoli milanese (auto, treno, autobus, aereo, navicella spaziale, scopa, etc. etc.), alcune informazioni sui luoghi di riposo per le vostre povere, stanche membra sfinite dai concerti (ma siete sicuri di voler riposare?). NON CI RESTA QUINDI CHE AUGURARVI UNA BUONA LETTURA, E UN DEVASTANTE CONCERTO!
A DAY AT THE BORDER – LE BANDS
MARILYN MANSON
Sito web ufficiale – http://www.marilynmanson.com/
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Parlare, in questa sede, di Marilyn Manson, non è sicuramente un compito facile. Soprattutto perché mr Manson è, senza ombra di dubbio, il personaggio più odiato, più ostacolato e meno desiderato di questa edizione 2003 del Gods Of Metal. Del resto basti pensare alle reazioni che si sono scatenate all’annuncio che Manson sarebbe stato un headliner del GoM: se non si è rivoltato tutto il popolo metal italiano, c’è mancato poco, al punto che potrebbe sorgere il dubbio se la partecipazione di Marilyn sia una conseguenza della scelta di inaugurare quest’anno per la prima volta un festival parallelo, o se ne sia invece la causa, dal momento che l’annuncio della nascita del “Day At The Border” è avvenuto dopo quello della presenza di Manson. Ovviamente, in questo caso, le ragioni di tale opposizione non sono certo quelle dei benpensanti che ritengono Manson troppo estremo, ma piuttosto quelle di coloro che lo ritengono troppo POCO estremo, troppo commerciale e costruito. Ora, a mio parere, come avviene in molte situazioni, i due estremi tendono a toccarsi e a confondersi, ed in generale l’unico vincitore è proprio lui, Marilyn Manson, che anche questa volta, con una mossa più o meno voluta, è riuscito a farsi una pubblicità enorme, e ad offuscare con la sua presenza non solo il Day At The Border, ma anche il GoM. E proprio questo è il più grande merito di Manson: la capacità di manipolare i media come pochi altri sanno fare, la capacità di essere scomodo sempre, eppur vendere milioni di dischi. Tutti ne parlano male, tutti lo disprezzano, i metallari come i benpensanti, i satanisti come la chiesa cattolica… con l’unico risultato che, loro, sono tutti da una parte, confondendosi gli uni con gli altri, mentre lui è – solo – dalla parte opposta, e proprio per questo riesce dove altri hanno fallito. Sebbene tutti ne parlino male, è altrettanto vero che quasi tutti possiedono almeno un suo album perché, e questo è un altro merito di Marilyn Manson, non è possibilie dire che la sua musica faccia schifo. “Antichrist Superstar” è un ottimo disco di industrial metal che ha lanciato una vera e propria corrente, così come “Holywood” è un altro ottimo album che ha riscosso buone critiche da parte della stampa specializzata. Questo è Marilyn Manson: un artista intelligente, che è passato indenne attraverso milioni di vicissitudini, rafforzandosi grazie ad esse, che è un ottimo manager di se stesso, che conosce benissimo la forza dei media e sa manipolarla a suo favore e che inoltre ha buone doti di songwriter. Negare questo, ostacolarlo, osteggiarlo, non farà altro che accrescerne il successo e la fama. Ovviamente, da un punto di vista tecnico Mr Manson e la sua band valgono praticamente nulla, e basta andare ad un loro concerto per rendersene conto: il chitarrista fa il suo discreto lavoro, ma è così impegnato a suonare i suoi riff (tra parentesi piuttosto semplici) da non alzare neanche gli occhi dalla chitarra, la voce di Manson regge sì e no tre canzoni (dopo di che le ‘stecche’ non si contano), e viene completamente sommersa dagli strumenti fino a scomparire del tutto, mentre il tastierista fa più scena che altro (suonerà sì e no tre note per canzone). Naturalmente Mr Manson è completamente consapevole di queste limitazioni, e per questo il suo show è più uno spettacolo teatrale che un concerto. Per questo motivo vi invito a godervi tale spettacolo senza essere troppo critici e prevenuti, senza badare troppo alla musica che, a questo punto, per colpa (o merito?) di tutti è già passata in secondo piano.
HIM
Sito web ufficiale – http://www.heartagram.com/
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Con quattro album all’attivo (di cui l’ultimo, “Love Metal”, di recente pubblicazione), giungono al “Day At The Border” anche gli HIM di Ville Valo. A discapito del nome inquietante (His Infernal Majesty), la musica proposta dai nostri è una sorta di gothic pop rock dalle forti tinte dark, un genere che gli HIM stessi hanno contribuito ad inventare e a portare al successo, e che attualmente sta spopolando in gran parte d’Europa proprio grazie a loro. Per quanto si possa parlar male degli HIM accusandoli di essere troppo commerciali e di avere snaturato il gothic metal portandolo alle masse, bisogna riconoscere al gruppo di Ville Valo innanzitutto una fortissima personalità, e in secondo luogo un’ottima capacità di scrivere canzoni dal refrain accattivante che puntualmente colpiscono nel segno, come dimostrano le milioni di copie vendute dalla band. Ciascuno dei quattro album finora pubblicati dagli HIM è una sorta di raccolta di hit da alta classifica, tanto che si rimane stupiti dalla semplicità con cui i nostri sono in grado di scrivere canzoni caratterizzate da una struttura melodica irresistibile. Il problema è che, di album in album, gli HIM tendono a ripetere la formula da loro stessi inventata e, anche se le canzoni sono sempre di ottima fattura, è chiaro come Ville Valo ed i suoi stiano tirando troppo una corda che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro, portandoli dall’attuale successo al dimenticatoio in cui finiscono molti gruppi di questo tipo. Dal vivo gli HIM svolgono bene il loro lavoro, offrendo una performance senza alti né bassi, con Ville che si atteggia a Jim Morrison dei nostri tempi, tipicamente vestito in modo molto semplice con una sigaretta in bocca per tutto il concerto: il suo personaggio “bello e dannato” ha spezzato il cuore a molte ragazzine in tutta Europa, ed ha ovviamente fatto la fortuna dei suoi HIM.
CHILDREN OF BODOM
Sito web ufficiale – http://www.cobhc.com/
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Band esplosa solamente pochi anni fa grazie all’innovativo “Something Wild”, che sapeva unire in sé la potenza del death melodico, le melodie neoclassiche del power svedese e lo screaming del dotato vocalist Alexi Laiho, i Children Of Bodom in soli sei anni hanno compiuto un notevole processo di maturazione attraverso quattro album in studio (ed un ottimo live), passando da quella pietra miliare ormai universalmente riconosciuta che porta il nome di “Hatebreeder”, e dal più melodico e criticato “Follow The Reaper”, fino all’ultimo “Hatecrew Deathroll”, disco che segna un’ulteriore evoluzione musicale verso altri lidi (questa volta l’attenzione sembra rivolta ad una certa pesantezza tipica del thrash moderno) e probabilmente un nuovo punto di partenza, per un discorso da portare ancor più in avanti con le future produzioni. Questo il biglietto di presentazione per una delle band che ha sempre fatto delle prestazioni dal vivo uno dei suoi punti di forza (d’altronde le capacità tecniche dei singoli componenti della band non sono in discussione) e che, dopo essere maturata a dovere, si presenterà sul palco dello stadio Brianteo nel Day At The Border pronta a caricare a dovere il pubblico italiano con grandi classici come “Silent Night, Bodom Night”, “Bodom After Midnight” e “Deadnight Warrior”.
PARADISE LOST
Sito web ufficiale – http://www.paradiselost.co.uk/
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L’esibizione dei Paradise Lost sarà uno dei momenti più attesi del Day At The border, vuoi per la qualità della proposta musicale, vuoi per il seguito molto ampio di cui i cinque musicisti inglesi beneficiano da diversi anni nel nostro paese. Padri del movimento gothic-doom agli inizi degli anni ’90, ed artefici di pietre miliari del genere come “Gothic” e “Icon”, raggiungono il grande successo commerciale con l’album “Draconian Times” del 1995, lavoro che in pochi anni diviene il termine di paragone per gli adepti delle sonorità plumbee e malinconiche dal “volto umano”; perché mentre gli altri “fuoriclasse” della scena britannica, Anathema e My Dying Bride, chiusi nella loro intransigenza, resistevano alle sirene del successo radiofonico, i cinque di Halifax hanno sempre prestato la massima attenzione alla forma-canzone ed alla spendibilità del loro repertorio. In questa ottica va vista la svolta che i Paradise Lost inaugurano con il successivo “One Second”, che segna l’abbandono del metal in favore di un sound farcito di elettronica e lugubri tappeti di tastiere. E se il successore “Host” si rivela troppo Depeche Mode-dipendente, una vena compositiva ritrovata e chitarre sature in primo piano caratterizzano invece sia il successivo album, “Believe In Nothing”, sia l’ultima fatica “Symbol Of Life”. La dimensione live ha sempre costituito il tallone d’Achille di questi tristi musicisti, da un lato per l’incapacità di rapportarsi alle platee oceaniche dei festival, dall’altro per alcune incertezze del vocalist Nick Holmes, spesso non a suo agio nell’uso del cantato pulito, nonostante su di esso si basi la quasi totalità delle track incluse in scaletta. Saranno in grado stavolta di sorprendere pubblico e critica con una prestazione sopra le righe? A voi l’ardua sentenza……..
MINISTRY
Sito web ufficiale – http://www.animositisomina.com/
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Nati sul finire della prima ondata industrial e post punk ed ispirati tanto da band rivoluzionarie come Throbbing Gristle ed SPK quanto dai gruppi più in vista della new wave britannica, i Ministry, capeggiati da Al Jourgensen, danno alle stampe nel 1986 “Twitch”, disco di dance sperimentale che rimarrà episodio isolato nella carriera della band. Passano appena due anni ed il rock-industriale dei Ministry diventa realtà; “The Land Of Rape And Honey” diventa il manifesto di un’espressione musicale sovversiva e non schierata, capace di coniugare le istanze rivoluzionarie dell’industrial e l’aggressività del metal. Da quel momento la crescita artistica di Jourgensen e compagni diventa inarrestabile e si cristallizza nel sublime “Psalm 69” (1992), disco tagliente e schizofrenico che costituisce a tutti gli effetti un’alternativa rivoluzionaria al nascente fenomeno grunge. L’ultimo lavoro dei nostri, “Animositisomina” è un disco nel quale convivono gli spigoli tipici del Ministry-sound ed una propensione psichedelica che chiama in causa addirittura i Tangerine Dream più ermetici. Dal vivo il gruppo americano si propone in deflagrazioni di aggressività che hanno pochi rivali all’interno della scena industrial-rock, producendosi in show imprevedibili ed istintivi. Al Jourgensen ultimamente si fa chiamare Al ‘Qaeda’ Jourgensen, testimoniando che la voglia di provocare e punzecchiare non è mai morta.
MESHUGGAH
Sito web ufficiale – http://www.meshuggah.net/
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Un gruppo che assolutamente non vuole porsi dei limiti; un gruppo la cui proposta pare essere sempre all’avanguardia; un gruppo cardine per l’evoluzione del metallo estremo; un gruppo che, ogni qualvolta si ripresenta sulla scena (e non succede molto spesso), riesce a compiere strage di consensi, facendo esplodere d’entusiasmo critici, fan e addetti ai lavori. Tentare di classificare la musica dei Meshuggah (curiosità: è un termine ebraico che significa “pazzo”) sarebbe altamente riduttivo: ritmiche dissonanti e sperimentali, riff claustrofobici ed ossessivi, un unico blocco di granito fuso in note ruvide e pesantissime. Dopo il primo album, “Contradictions Collapse”, e due successivi EP, il quintetto svedese emerge dall’underground con la pubblicazione (1995) dell’epocale “Destroy Erase Improve” (a giudizio di chi scrive, il loro capolavoro), disco contenente la spettacolare “Future Breed Machine”, manifesto assoluto di thrash ultratecnico e futuristico, condito dai caratteristici assoli di stampo jazz del chitarrista Fredrik Thordendal e dall’eccezionale bravura di Tomas Haake dietro le pelli. Passano tre anni e, inframezzato dall’ennesimo EP, esce “Chaosphere”, lavoro violentissimo e leggermente sottotono, vuoi per l’eccessiva scarica di rabbia, vuoi per la monotonia dei brani, fra i quali spicca “The Exquisite Machinery Of Torture”. La band raccoglie comunque ottimi frutti dal proprio lavoro e, dopo le tournée sostenute con grossi calibri quali Machine Head, Slayer ed Entombed, viene scelta addirittura dai Tool come opening-act del loro tour: un grande riconoscimento e la fondamentale opportunità di allargare la base della propria audience. Infine, nel 2002, arriva l’ultimo capitolo discografico: “Nothing” è davvero innovativo, soprattutto nella ricerca del sound, cupo, profondo ed originato, novità assoluta, da chitarre ad otto corde! L’impatto sonoro, se riusciranno a riproporlo fedelmente anche dal vivo, dovrebbe essere micidiale! Per cui, se sopravviverete alla furia di Jens Kidman & Co., dovrete ritenervi fortunati!
SPINESHANK
Sito web ufficiale – http://www.spineshank.com/
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Il “carrozzone” nu-metal macinò i suoi primi chilometri circa 6-7 anni fa. Di lì a poco esplose commercialmente grazie alla provvidente MTV. Fra i gruppi d’importanza secondaria, dietro i mostri sacri Korn, Deftones e Limp Bizkit, sono da annoverare anche gli Spineshank: formatisi nel 1996, è solo due anni dopo che, aiutato dalla forte amicizia che lo legava a Dino Cazares e Burton C. Bell (membri degli allora idolatrati Fear Factory), il gruppo riesce ad entrare nelle grazie della Roadrunner Records, etichetta decisamente orientata verso questo tipo di sonorità moderne e contaminate. Il primo lavoro, “Strictly Diesel”, è piuttosto acerbo e carente in personalità; nonostante ciò, la band può vantare un’importante esibizione al Dynamo Open Air Festival di quello stesso anno. Per “The Height Of Callousness”, seconda fatica in studio, il discorso cambia: gli Spineshank sembrano maturati e il loro sound si plasma attraverso inserti melodici più accentuati e track che mantengono comunque buone dosi di rabbia. Seguono tour a seguito dei nomi più importanti del movimento nu, quali Disturbed, (hed)PE, Mudvayne e Orgy, senza dimenticare la loro presenza sul Second Stage dell’Ozzfest 2001. Il quartetto, capitanato dal frontman Jonny Santos, è ora in procinto di pubblicare il terzo capitolo della propria storia, “Self Destructive Pattern” (produzione affidata a GGGarth Richardson), un titolo che è già un programma! Vista la specifica differenziazione della due giorni di concerti, voluta quest’anno, e l’attitudine live che il gruppo ostenta fin dalla nascita, potrebbero ottenere facili consensi!
NILE
Sito web ufficiale – http://www.nile-catacombs.net/
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Formatisi nel 1993 per volere di Karl Sanders, attuale leader della band, i Nile si sono imposti all’attenzione del pubblico estremo come una delle poche band in grado di apportare innovazioni consistenti al rigido canovaccio del death metal senza alterare le caratteristiche fondanti del genere. Nel volgere di una manciata di album, la band statunitense è riuscita a forgiare un suono inconfondibilmente personale che unisce la furia del brutal death americano ad un’originalissima propensione epica che trae ispirazioni dalle sonorità e dagli strumenti della tradizione mediorientale. Concettualmente i Nile non hanno mai nascosto la propria fascinazione per le atmosfere dell’antico Egitto, evocate tanto dai titoli degli album (“Ramses, Bringer Of War”, “Amongst The Catacombs Of Nephren-Ka”) quanto da un uso intelligente di atmosfere etniche capaci di evocare paesaggi sonori inediti per il death metal. Dal vivo la band di Karl Sanders si contraddistingue per la sconcertante perizia tecnica e la travolgente brutalità, figlia diretta dei migliori act brutal partoriti dagli Stati Uniti. Sebbene l’intera discografia dei Nile sia particolarmente ispirata, l’ultimo “In Their Darkened Shrines” (Relapse Records) si pone come episodio imprescindibile per capire uno dei gruppi più ispirati ed importanti dell’ultimo lustro in ambito estremo.
CARPATHIAN FOREST
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Ultimo immarcescibile gruppo della prima ondata del black metal norvegese (la band appartiene alla generazione di Satyricon, Emperor, Enslaved ecc.) a tener fede alle proprie origini musicali, i Carpathian Forest hanno attraversato gli anni ’90 rimanendo una delle pochissime band di un certo spessore commerciale a proporre un black metal fieramente primitivo e grezzo. Approdati con il recente “Defending The Throne Of Evil” al quarto full lenght, i nostri esaltano nei propri live show l’attitudine punk-rock’n roll che contraddistingue la loro personale visione del black metal, producendosi in esibizioni intense e genuinamente maligne. I primi due demo (ristampati in un unico cd nel 1997) ed il mini “Through Chasm, Caves And Titan Woods” sono testimonianze fondamentali del black metal norvegese dei primi anni ’90. La parte centrale della carriera della band si segnala per tre album (“Black Shining Leather”, “Strange Old Brew” e “Morbid Fascination Of Death”) che sviluppano appieno la vena black’n roll del gruppo di R. Nattefrost e si distinguono tra i più fulgidi esempi di true black metal degli anni ’90. Meno convincente l’ultimo “Defending The Throne Of Evil”, nel quale i nostri tentano, con risultati alterni, di amplificare la vena tastieristica del loro sound.
SOILWORK
Sito web ufficiale – http://www.soilwork.org/
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Artefici nella prima parte della loro carriera di un trash-death molto tecnico sulla falsariga di Arch Enemy e At The Gates, il sestetto svedese, a partire dal terzo lavoro “A Predator’s Portrait” del 2001, inizia ad enfatizzare con le giuste proporzioni la componente melodica del proprio sound, un tentativo che vedrà il suo naturale approdo l’anno successivo, con la realizzazione di “Natural Born Chaos”. Sotto l’egida del “genio” Devin Townsend (qui nelle vesti di produttore e guest musician) il combo compie la svolta decisiva: le vocals pulite di Bjorn Strid sorprendono nella loro riuscita alternanza con i tradizionali cantati abrasivi, e le composizioni giocano su questo folle equilibrio, generando un insieme coerente e dal grande impatto. La loro esibizione al Day At The Border di quest’anno segue di poche settimane l’uscita della loro ultima fatica “Figure Number Five”, forse l’album più controverso della loro carriera che, se da un lato ha riproposto il medesimo songwriting del predecessore, dall’altro ha accentuato alcuni elementi kitsch e ruffiani fino ad oggi tenuti in embrione, quali innesti elettronici di matrice pop e sperimentazioni dal forte appeal commerciale. La curiosità di verificare in sede live il nuovo corso della band è forte, considerando che proprio nei concerti dal vivo i Soilwork danno il meglio di loro stessi, trasformandosi in una rodata macchina da guerra.
THE DEFACED
Sito web ufficiale – http://www.thedefaced.com/
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Attivi dal 1999, i The Defaced hanno subito fatto molto parlare di sé per il fatto che buona parte della line up è composta da membri degli astri nascenti Soilwork (il batterista Henry Ranta) e Darkane (il chitarrista Klas Ideberg e il bassista Jorgen Lofberg). Siglato un deal con la nostrana Scarlet Records, hanno dapprima pubblicato il debut album “Domination Commence”, buon disco di thrash moderno sulla scia dei primi Machine Head e dei Testament e, da poche settimane, il suo ottimo successore “Karma In Black”, lavoro che segna un alleggerimento del sound dei nostri, ora maggiormente improntato su tempi cadenzati, riff groovy e melodie malinconiche… una sorta di incrocio tra i succitati Machine Head e gli Alice In Chains! La band all’A Day At The Border sarà chiamata a confermare la splendida impressione fatta su disco e avrà anche l’ingrato compito di scaldare il pubblico in vista delle formazioni ben più importanti ed attese che calcheranno il palco dopo di loro. Vista la caratura dei musicisti chiamati in causa e il valore della musica proposta, il compito dovrebbe essere assolto senza nessun problema!
AURORA
Sito web ufficiale – http://www.aurora.ms/
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Gli Aurora provengono dalla Danimarca, una terra la cui scena metal non è mai riuscita a darsi connotazioni proprie e definibili, chiusa a nord dai brutalismi scandinavi e a sud dallo strapotere teutonico. In principio conosciuti come Aurora Borealis, i nostri esordiscono nel 1997 con l’EP “I’ll Cry Alone”, seguito l’anno successivo dal debutto su lunga distanza “Eos”, descritto come più pomposo e melodrammatico dei suoi successori. Dopo altre due buone pubblicazioni, “Sadiam” e “Devotion”, con le quali il sound del gruppo si evolve coniugando partiture di stampo estremo a passaggi più rivolti al gothic melodico (vedi primi Katatonia), ecco arrivare l’ora della quarta fatica in studio: “Dead Electric Nightmares”. Da qui, presumibilmente, saranno tratte le song che gli Aurora suoneranno all’A Day At The Border. Il mood oscuro e vagamente psichedelico che permea le composizioni di questo nuovo lavoro non sarà sicuramente favorito dall’orario in cui la band si esibirà; in compenso, l’impatto provocato dalla miscellanea di influenze death/goth/black che forgia il songwriting dei cinque danesi non mancherà di svegliare in modo definitivo le orde metalliche giunte in quel di Monza, ancora, probabilmente, in preda alla sonnolenza. Pur non essendo molto conosciuti in Italia, l’esperienza accumulata dovrebbe volgere a loro favore e, per tal motivo, potrebbero essere una valida e piacevole sorpresa!
BRAINWASH
Sito web ufficiale – http://www.brainwash.it
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Apriranno le danze del Day At The Border con il loro grind-core “no compromises”, occasione ideale per testare l’impatto sul pubblico di un genere musicale così estremo che, grazie alla vetrina da tempo offerta da band quali Nasum e Cryptopsy, sta iniziando la sua lenta scalata fra i gusti dei metal kids. I Brainwash sono: Marco (batteria), Lorenzo (chitarra), Luca (voce), Claudio (basso e voce). Marco e Lorenzo, condividendo la passione per la musica estrema – in particolare per il grind-core di Napalm Death, Carcass, Agathocles – decidono di mettersi a suonare. Sempre più coinvolti, nel 1989 formano i Brainwash e si orientano verso un grind-core stile Nuclear Death. Subito, però, alcuni membri si accorgono che quel genere è troppo estremo e ha luogo, così, qualche avvicendamento nella line-up. Fino al 1993 si impegnano a fondo per distinguersi soprattutto in Italia, attraverso concerti e festival. Nel 1994, quando il nome della band comincia ormai a essere conosciuto, esce il live-demo “Brain Damage”: tale scelta, pur essendo low-fi, è ciò che meglio può rappresentare i Brainwash, perché il materiale in studio non risulterebbe altrettanto aggressivo. Nonostante la sua brutalità, soprattutto per quei tempi in Italia, il demo ottiene sorprendentemente una buona accoglienza da pubblico e critica. Con continui assestamenti alla line-up, nel 1996 aprono i concerti italiani di Malevolent Creation, Oppressor, Vader, Deranged , Avulsed. Il 1997 li vede insieme ad Hemdale, Exhumed e Nyctophobic come guest di alcune date del tour “Grind Over Europe 2″. Musicalmente troppo estremi per centri sociali e club italiani, negli anni seguenti suonano in tour e concerti prevalentemente in Germania ed est europeo, tra cui la prima edizione dell'”Obscene Extreme Festival” (1999), e in altre date con Haemorrhage e Agathocles; nel 2000 partecipano al mini-tour in compagnia dei sudafricani Groinchurn e i cechi Krabathor, e nel 2001 al “Grind Manifesto Tour” in Polonia in compagnia di Damnable e Antigama; nel marzo 2003 infine sono in tour con Haemorrhage e Hypnos tra Germania, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca. La raggiunta stabilità della line-up li porta in studio, dove stanno ultimando un promo di prossima uscita. Le sonorità rimangono estremamente grindcore, velocissime, nichiliste e senza compromessi.
GODS OF METAL – LE BANDS
WHITESNAKE
Sito web ufficiale – http://www.whitesnake.com
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Il serpente bianco è di nuovo tra noi! David Coverdale è indubbiamente un’icona dell’hard rock mondiale, che dall’anonimato è esploso nei Deep Purple dopo la dipartita dell’immenso Ian Gillan con tre ottimi dischi quali “Burn”, “Stormbringer” e “Come Taste The Band”. Dopo lo scioglimento della band causato da dissapori tra i membri e, a livello economico, dal declino dell’hard rock in favore della nuova corrente musicale, ossia il punk, David non si diede mai per vinto e, dopo aver pubblicato due album solisti intitolati “Whitesnake” e “Northwinds”, mise su il primo nucleo dei Whitesnake composto da Micky Moody (chitarra), Bernie Marsden (chitarra), David Dowle (batteria), Neil Murray (basso) e Pete Solley (tastiere). Nel 1978 esce il primo e.p. intitolato “Snakebite”, le cui canzoni sono tutte molto blues rock ma decisamente buone, tra le quali spiccano “Ain’t No Love In The Heart Of The City” e “Queen Of Hearts”. Passano pochi mesi e Solley lascia la band in favore del mitico Jon Lord e viene pubblicato “Trouble”, il primo lp a tutti gli effetti. Innanzitutto si nota un indurimento generale del suono e l’opener “Take Me With You” anticipa di due anni il fenomeno musicale della n.w.o.b.h.m.! Ma le influenze bluesy sono sempre la principale fonte di ispirazione del singer inglese, e brani come “Love To Keep You Warm” e “Nighthawk” ne sono la diretta testimonianza. C’è anche spazio per “Day Tripper”, cover dei Beatles che qui acquista maggior vigore in confronto all’originale. Nel 1979 con la medesima formazione viene pubblicato “Lovehunter”, platter dalla copertina molto provocatoria che contiene ottimi brani di hard blues come “Walkin In The Shadow Of Blues” e “Long Way From Home”. L’anno seguente David Dowle lascia la band in favore del più tecnicamente dotato Ian Paice e i nostri registrano “Ready And Willing”, album caratterizzato dal classico hard blues della band, ma qui ancora più ispirato e coinvolgente che presenta brani memorabili come “Fool For Your Loving” “Ain’t Gonna Cry No More” e la title track. Nello stesso anno esce il mitico “Live…In The Heart Of The City” che non fa che dimostrare che la band è al 100% della forma e Coverdale si dimostra un cantante dotato di un feeling e un’attitudine sul palco comune a pochi. Nel 1981 esce “Come And Get It” e, stilisticamente parlando, non vi sono novità di rilievo se non la solita manciata di canzoni come la title track, “Wine, Women An’Song” e “Girl” pronta a soddisfare il palato dei die hard fan della band inglese. Nel 1982 è la volta di “Saint And Sinners” che prosegue quanto fatto in tutta la produzione del serpente bianco, e brani come “Here I Go Again” e “Crying In The Rain” salvano questo platter dall’anonimato più assoluto. Due anni più tardi le cose cominciano a cambiare in casa Whitesnake. Innanzitutto Marsden abbandona la band sostituito da Mel Galley, Ian Paice lascia la band per la reunion dei Deep Purple sostituito da un’altra leggenda, il mitico Cozy Powell, e Neil Murray viene sostituito da “Colin Hodgkinson”… il risultato è “Slide It In”. L’album è decisamente più ispirato del precedente, e brani come “Gambler” e la title track ci mostrano una band in piena forma! Ma il singer vuole di più a livello economico e cerca di espandere il verbo della band anche negli Stati Uniti registrando nuovamente “Slide It In” con il ritrovato Neil Murray e John Sykes (Thin Lizzy, Tigers Of Pan Tang) alla chitarra. Il tour americano di supporto al disco ottiene un ottimo successo, ma il disco non diviene un best seller come Coverdale vorrebbe. Dal 1984 al 1987 gli Whitesnake hanno parecchi problemi di line-up dato che Powell lascia la band per unirsi al nuovo progetto di Keith Emerson e Greg Lake; anche Lord, dopo la dipartita di Paice, raggiunge i Purple, mentre Mel Galley è in pausa forzata per poco più di un anno a causa di una tendinite. Chiunque all’epoca avesse dato per finiti i Whitesnake si sbagliò do grosso, dato che il biondo singer reclutò alla batteria Aynsley Dunbar e, coadiuvato da Sykes e Murray, produsse il capitolo discografico più popolare del serpente bianco, ossia “1987”. La produzione è stratosferica e dal rock blues delle origini si passa a un metal molto commerciale, in cui brani come “Here I Go Again” e “Crying In The Rain” (ripescati da Saint And Sinner) acquistano una nuova luce e riscuotono un successo immenso. Unica nota dolente del disco è “Still Of The Night”, brano che ricorda sin troppo “Black Dog” dei Led Zeppelin. Ma prima del tour di supporto al disco Murray, Sykes e Dunbar vengono licenziati da Coverdale, che chiama alla sua corte Rudi Sarzo al basso (Quiet Riot), Vivian Campbell alla chitarra (Sweet Savage, Dio e in futuro approderà nei Def Leppard) e Adrian Vandemberg alla chitarra. Il tour si rivela un successone, e Coverdale tenta di bissare due anni dopo il successo di “1987”, ma Adrian Vandemberg ha problemi di salute e viene sostituito dal guitar hero Steve Vai. Il risultato è il bistrattato e sottovalutato “Slip Of The Tongue” (che chi scrive reputa un grandissimo album) contenente brani come la ripescata “Fool For Your Loving”, la strepitosa “Wings Of The Storm” e la zeppeliniana “Sailing Ships”, ma il disco non arriva mai alle vendite in cui David sperava e la band infine si scioglie. Dopo ben cinque anni di assenza il nome Whitesnake gira di nuovo nell’ambiente musicale, grazie a un’inutile pubblicazione del primo greatest hits della band, che secondo chi scrive non contiene chicche rilevanti. Con una formazione nuovamente rimaneggiata composta da Warren De Martini alla chitarra, Adrian Vandemberg alla chitarra, Rudi Sarzo al basso, Paul Mirkovic alle tastiere e Danni Carmassi alla batteria, i nostri intraprendono un tour di discreto successo. Tre anni dopo l’uragano grunge, Coverdale intelligentemente compone poi un nuovo album, ad ormai otto anni da “Slip Of The Tongue”, intitolato “Restless Heart”. Le atmosfere sono molto più pacate, i toni heavy scompaiono del tutto e la matrice blues torna prepotentemente a farsi avanti e brani come “Don’t Fade Away”, “All In The Name Of Love” e la title track ci mostrano la band in perfetta forma, con Guy Pratt entrato al posto di Rudi Sarzo, Brett Tuggle subentrato a Paul Mirkovic e Elk Thunder all’armonica. Nello stesso anno viene pubblicato l’acustico “Starkers In Tokyo” con la coppia Coverdale/Vandemberg a rileggere i classici whitesnakiani, e c’è posto persino per la mitica “Soldiers Of Fortune”! Il nuovo millennio viene inaugurato da David con “Into The Light” con la formazione quasi completamente rimaneggiata, con Tony Franklin e Marco Mendoza che si alternano alle parti di basso, Dylan Vaughan alla chitarra, Earl Slick alla chitarra, Mike Finnigan all’organo e Derek Hilland alle tastiere. Ora, con la nuova reunion, attendiamo fuoco e fiamme al Gods Of Metal per una band che ha fatto la storia dell’hard rock mondiale!
QUEENSRYCHE
Sito web ufficiale – http://www.queensryche.com/
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Era l’ormai lontano 1981 quando cinque liceali di Seattle formarono i Queensryche, senza immaginare che di lì a pochi anni i loro sforzi, unitamente alla loro del tutto personale vena compositiva, avrebbero cambiato il corso della storia dell’heavy metal proprio negli anni in cui al di qua dell’oceano imperversava il fenomeno della NWOBHM. Il ruolo dei Queensryche nella storia del genere è tutt’oggi inciso profondamente negli stilemi che hanno saputo introdurre nella loro camaleontica proposta già a partire dallo storico “Queen Of The Reich”, EP d’esordio di incredibile successo – uscito per la prima volta per la 206 Records – che valse alla band, nel 1983, il contratto con la EMI (label che li ha accompagnati per quasi tutto il corso della loro lunga carriera) e una prima ristampa dell’EP. I toni oscuri e maestosi dei Queensryche dell’era QOTR si inseriscono nel filone post hard-rock alla Blue Oyster Cult, in cui già si possono riconoscere i primi segni di quella che sarà la svolta ‘progressiva’ e più sperimentale del sound della band: le armonie a due chitarre della coppia Degarmo/Wilton e la teatrale e mutevolissima voce di Geoff Tate resteranno per sempre elementi inconfondibili della musica di casa Queensryche, che già in “The Warning” (1984) smorza la potenza del debutto in favore di atmosfere più nervose e futuribili in cui gli arrangiamenti orchestrali acquistano grande importanza. Ancor più sperimentale è il successivo, gelido “Rage For Order” (1986), vero punto di inizio di quelle particolarità di produzione che contribuiscono a creare l’unicità sempre più nettamente definita del sound della band… ma è nel 1988 che i Queensryche approdano alla loro dimensione leggendaria con l’ambizioso e insuperato capolavoro “Operation: Mindcrime”, concept articolato e di epica bellezza che conquista pubblico e critica e che porta la band all’apice del successo con tre dischi di platino e una nomination ai Grammy Awards. Ormai l’indefinibile heavy-power-aor-rock metal dei Queensryche è un dato di fatto, al riparo dai trend e dal mutare dei parametri di valutazione, anche se è proprio a questo punto che qualcosa si spezza nel cuore del sound dei Ryche: nel 1990 esce “Empire”, una proposta decisamente rock-progressive, di pregiata fattura anche se in alcuni punti piuttosto ridondante. L’album entra tuttavia nella top-ten delle charts americane grazie alle sue numerose hit (“Silent Lucidity” e “Another Rainy Night” spiccano su tutte), successo dopo il quale partirà il lungo tour che li vedrà on the road per più di due anni. Dopo altri due anni di silenzio, nel 1994 la direzione stilistica intrapresa con “Empire” conduce all’uscita di “Promised Land”, psicodramma oscuro e sperimentale per molti versi considerato il nadir artistico del gruppo nonostante la conquista di un nuovo disco di platino. Il lavoro, forse rispondente ad un’esigenza di introspezione e senso di riflessione, resta comunque prova del grande talento teatrale ed espressivo di Tate, nonché delle capacità di una delle migliori sezioni ritmiche dell’heavy metal (il bassista Eddie Jackson e il batterista Scott Rockenfield). Dopo altri tre anni di silenzio creativo, poi, con “Here In The Now Frontier” (1997) la band sfodera un sound tetro e disadorno che suona piuttosto retrò, una sorta di tentativo di imitazione di sound alla Soundgarden e Van Halen (“Sign Of The Times”, “All I Want”), anche se ormai è evidente che tale evoluzione soffra il confronto con il glorioso passato che ha segnato la carriera del quintetto di Seattle. Arriviamo così al 1998, anno in cui Degarmo lascia il proprio posto nella band che aveva contribuito a fondare; tale posto viene occupato nuovamente da Kelly Gray, produttore e amico dei Ryche da più di vent’anni: la band sembra così ritrovare una certa energia, anche se il nuovo “Q2K”, uscito nel 1999, non fa pensare lo stesso per quel che concerne l’ispirazione. A seguito dell’uscita di questo album la band parte per un tour che durerà un anno per poi approdare, nel luglio del 2001, alla Sanctuary Records: con il cambio di label il gruppo decide di stilare un bilancio dei vent’anni della propria carriera facendo uscire nel 2002 il doppio live album “Live Evolution”, registrato nel luglio dello stesso anno, teso a ricreare la magia degli show dei Queensryche.Con il nuovo greatest hits “Classic Masters” fresco d’uscita e il nuovo full-lenght “Tribe” atteso per l’imminente l’estate di quest’anno, la band ritorna nella sua formazione originaria (con Degarmo alla chitarra solista) e riparte in tour a giugno: il Gods Of Metal sarà una delle primissime date del tour che inaugurerà la reunion e, nonostante le vicissitudini degli ultimi anni, si è creato – giustamente – un clima grande trepidazione intorno all’occasione. Da sempre, del resto, gli show dei Queensryche restano nella memoria come eventi indimenticabili: attendiamo quindi, anche questa volta, che la magia dei ‘Ryche esploda sul palco dell’unica data italiana del loro tour, sperando che la band non abbia perso nulla della sua leggendaria capacità di dialogare con il pubblico, di trascinare le folle con le emozioni dei mai eguagliati cavalli di battaglia di tanti anni di grande musica.
MOTORHEAD
Sito web ufficiale – http://www.imotorhead.com/
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“Good evening, we are Motorhead and we’re gonna kick your ass”… quale miglior frase per descrivere la musica del combo inglese?I Motorhead sono in giro da quasi trent’anni e sanno il significato del termine ‘attitudine’! Nati quando il punk era appena esploso, raggiungono l’apice a livello di songwriting con l’avvento della n.w.o.b.h.m, resistono negli anni ’80 alla furia del thrash e del glam, fino ad arrivare a superare l’uragano grunge, che spazzò via il 95% delle metal band degli anni Ottanta. La band si forma nel lontano 1975 grazie a Lemmy Kilminster, “Fast” Eddie Clark e Phil “Philthy Animal” Taylor e dopo due anni esce il loro primo album, intitolato semplicemente “Motorhead”, contenente brani a metà tra la psichedelia e il rock’n’roll più grezzo. Passano appena due anni e i nostri sfornano il primo capolavoro intitolato “Overkill”. La title track è epocale grazie al suo incedere violento e alla sua struttura semplice ma mai banale, e brani come “No Class” e “Metropolis” entrano di diritto nella storia del rock! Passano solo sette mesi ed ecco arrivare il secondo capolavoro, ossia “Bomber”. L’album contiene dei pezzi spaventosamente belli (ed è clamoroso che suonino così freschi a distanza di 24 anni!) come “Dead Men Tell No Tales”, “Stone Dead Forever” e “Bomber”. Una piccola curiosità va alla bluesy “Step Down”, l’unica song cantata da Eddie Clark nella storia della band inglese. Arriva il 1980 e “Ace Of Spades” irrompe nelle casse degli headbanger candidandosi come capolavoro assoluto dei Motorhead. La title track apre in maniera epocale un disco che non conosce cali di tono, grazie ad un songwriting perfetto e alla sgraziata ugola di Lemmy. L’anno successivo la band pubblica il terremotante (e fantastico) “No Sleep ‘Til Hammersmith”, live che cattura la band al top della forma. I brani assumono ancora più energia in sede live, grazie ai vorticosi riff di Eddie Clark, al drumming essenziale ma devastante di Taylor e alla mitica voce rauca di Lemmy che col suo basso distorto marchia a fuoco la performance della band. Dopo una serie di capolavori, la band umanamente mostra segni di cedimento nel songwriting ed è cosi che nel 1982 esce “Iron Fist”. Per carità, il disco è ottimo e non ci sono veri e propri filler, ma le song (a parte la title track) non sono memorabili come quelle dei tre precedenti capolavori. Anche tra i membri della band i rapporti non sono più idilliaci come agli inizi, e Eddie Clark lascia la band per formare i Fastway e viene così sostituito da Brian Robertson. La band fa uscire il primo platter con “Robbo” (soprannome affibbiato al chitarrista), intitolato “Another Perfect Day”. Nell’album sono presenti buone canzoni come “Shine” e “I Got Mine”, ma il resto del disco si mantiene su livelli discreti, senza raggiungere tuttavia l’eccellenza. Nel settembre 1984 esce la raccolta “No Remorse”, contenente la mitica “Killed By Death” (caldamente consigliato l’esilarante video!). Trascorrono due anni e la line up viene ancora stravolta: fuori Robertson e Taylor, sostituiti da Peter Gill (drums), Phil Campbell (guitars) e Wurzel (guitars). La band è ora formata da quattro elementi e finalmente riecco i Motorhead sfornare un disco che, se pure non raggiunge l’apice di “Ace Of Spades”, vi si avvicina parecchio. Sto parlando di “Orgasmatron”, contenente brani stupendi come la title track (uno dei brani più belli scritti da Lemmy), “Deaf Forever” e “Dr.Rock”. Nel 1987 la band registra il discreto “Rock’n’Roll”: ovviamente, dopo tutti questi anni trascorsi “on the road”, è comprensibile che il songwriting ne risenta. Inoltre la band sa di avere regalato al pubblico dei meravigliosi platter e ottenuto il meritato successo, e non sposterà infatti di una virgola le coordinate sonore negli album a venire. L’anno seguente esce il secondo live della band intitolato “No Sleep At All” che, pur non bissando il successo del precedente live, permette allaband di dimostrare di aver ancora energie da vendere. Il 1991 è una triste data per il mondo del metal, esce “Nevermind” dei Nirvana e il successo delle metal band come Exodus o Testament scema improvvisamente. Ma i Motorhead continuano testardi nel loro intento e nello stesso anno pubblicano (con Taylor nuovamente dietro le pelli) “1916”. L’album contiene delle chicche notevoli come “The One To Sing The Blues”e “Going To Brazil”. Quest’ultima viene tutt’ora eseguita dal vivo dalla band e, avendoli visti, posso garantire che il brano rende benissimo! L’anno seguente è la volta di “March Or Die” con Mikkey Dee che sostituisce in maniera definitiva Phil Taylor e dimostra di essere un batterista veramente grandioso! Nel disco sono presenti due superstar del rock, ossia Ozzy Osbourne e Slash! Le coordinate stilistiche dell’album rimangono invariate, e brani come “Hellraiser” o la reinterpretazione di “Cat Scratch Fever” fanno la loro bella figura! Nel 1993 i nostri pubblicano “Bastards” e finalmente riecco spuntare una nuova song indimenticabile, ovvero la spettacolare “Born To Raise Hell”, che col suo refrain d’impatto riuscirebbe a far cantare anche i sassi! Dal 1995 sino ad oggi la band ha pubblicato ottimi dischi come “Sacrifice”, “Snake Bite Love” e il doppio live “Everything Louder Than Everyone Else”, e album meno riusciti come “Overnight Sensation” (il primo disco dopo la dipartita di Wurzel, quindi la band ritorna come trio) e l’ultimo “Hammered”. Ma poco importa, i nostri hanno dimostrato a tutto il mondo di essere una delle band più sincere e coerenti del mondo, quindi che dire… GRAZIE LEMMY!!!
SAXON
Sito web ufficiale – http://www.saxon747.com/
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Dalla fine degli anni Settanta il combo capitanato dall’inossidabile Byff Byford si è distinto per la sua capacità di unire musica rock ed heavy metal in un connubio unico! Alti e bassi hanno caratterizzato la carriera dei Saxon, ma la scorza dura della band, unita alla loro determinazione, li ha fatti superare i favolosi Eighties (insieme a Judas Priest ed Iron Maiden, i Saxon erano considerati tra i maggiori esponenti del genere heavy metal) ed i più difficili anni Novanta! Oggi i Saxon, al lavoro sul loro nuovo disco, sono ancora qui per insegnare a grandi e piccini cosa voglia dire suonare heavy rock di classe!
DESTRUCTION
Sito web ufficiale – http://www.destruction.de/
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Stiamo parlando di una leggendaria cult band di indiscusso livello… i Destruction per anni sono stati i portabandiera, assieme a poche altre band, del thrash metal europeo degli anni ’80. Chi di voi ricorda l’esordio “Sentence Of Death” sa bene che sin dall’inizio i Destruction dimostrarono di avere una marcia in più. Malvagi, malsani, contorti, un songwriting molto personale, un’attitudine vera, una band che ha sempre incarnato in modo perfetto il significato del proprio monicker… dopo travagliate vicissitudini che portarono alla scomparsa negli anni ’90 di un po’ tutti i ‘dinosauri’ del thrash metal, ecco la reunion ad inizio millennio. La rinascita prepotente del thrash ha dato adito a facili speculazioni sulla reale convinzione di far musica da parte di gruppi leggendari inabissatisi senza limpide motivazioni, ma l’ultimo album del trio teutonico “The Antichrist” incorona i Destruction i padroni incontrastati del metallo pesante mondiale, un album di pari intensità se non migliore di alcuni primi lavori della band (che sembravano per tanti motivi irripetibili e irragiungibili), un capitolo fondamentale nel cammino di un genere che resiste al tempo senza mutare di una virgola la propria struttura genetica. Inutile sindacare sulla qualità dei Destruction in sede live: tre demoni che ripropongono in modo eccelso tutti i pezzi dell’invidiabile repertorio, un muro sonoro che mantiene la classica ‘distorsione alla Destruction’, un macigno sulle vostre teste con in più la carica esplosiva di Schmier, un trascinatore di pubblico come ne sono rimasti davvero pochi. Il palco del GOM sarà forse troppo grande per Destruction, che sono soltanto in tre, ma non per questo si dimostreranno inadatti, anzi, saranno certamente una piacevole sorpresa per quelli che ancora colpevolmente non credono in loro. I Destruction sono una polveriera, una macchina da guerra, e le pallottole che usano non lasciano speranze: “Curse The Gods”, “Mad Butcher”, “Life Without Sense”, “Eternal Ban”, “Thrash ‘Til Death” e molte, molte altre. Uno spettacolo che non ha prezzo, l’esibizione di una gloria del metal, un patrimonio di tutti che sul palco sa trasformare un concerto in un’esperienza indimenticabile per chi ha il fegato di stare sotto il palco davanti a Shmier & Co. Sempre e comunque, “eternal devastation”!!!
GRAVE DIGGER
Sito web ufficiale – http://www.grave-digger.de/
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Nati all’inizio degli anni Ottanta per volere del carismatico frontman Chris Boltendhal, i Grave Digger possono essere senza dubbio annoverati tra i mostri sacri del metal teutonico, insieme a formazioni come Helloween, Accept e Running Wild. Autori ad inizio carriera di album seminali quali “Heavy Metal Breakdown” (1984) e “Witchunter” (1985), i nostri incapparono in una crisi di identità che li portò prima ad incidere lo sconclusionato “Stronger Than Ever” (sotto il monicker Digger e seguito dall’appena sufficiente “Wargames”) e poi allo scioglimento, avvenuto nel 1987. Nel corso del 1993, ben sei anni dopo, Boltendhal, con l’aiuto del nuovo acquisto Uwe Lulis alle chitarre e con un contratto con la G.U.N. Records, riprese coraggio e registrò “The Reaper”, album che segnò un indurimento del sound dei nostri e una sferzata su lidi power che riscosse un notevole successo. Subito fu seguito dal mini “Symphony Of Death” e dall’acclamatissimo “Heart Of Darkness”, lavoro violentissimo, tecnico e oscuro che sancì definitivamente il ritorno della band nell’olimpo dei grandi del metal classico. Da qui in poi i Grave Digger diedero vita ad una fortunatissima trilogia di concept medievali che passò in rassegna argomenti quali la storia della Scozia (“Tunes Of War”, 1996), i Templari (“Knights Of The Cross”, 1998) e la saga di Re Artu’ (“Excalibur”, 1999). Dopo innumerevoli tour, partecipazioni a grossi festival estivi (si ricorda un memorabile show al nostro Gods Of Metal del 1997) e l’anniversario di venti anni di carriera, Uwe Lulis lasciò la band per insanabili divergenze stilistiche. Reclutato l’ex Rage Manni Schmidt la band partecipò al Wacken Open Air 2001 registrando il suo primo live album, “Tunes Of Wacken”, poi concluse il suo rapporto con la G.U.N. Records e siglò un prestigioso contratto con la Nuclear Blast, casa discografica che ha permesso ai nostri di pubblicare l’ultimo “The Grave Digger”, album estremamente heavy ed oscuro basato sui racconti di Edgar Allan Poe, e che rilascerà il prossimo 26 Maggio il nuovo album dei nostri, un ambizioso concept sulla saga dei Nibelunghi intitolato “Rheingold”! Sicuramente la performance della band al Gods Of Metal sarà incentrata su questa nuova opera, ma di sicuro non mancheranno classici estratti dai lavori più fortunati degli anni Novanta e l’intramontabile “Heavy Metal Breakdown”, inno ormai vecchio di quasi vent’anni ma ancor oggi suonato ai concerti. Vista l’esperienza in sede live della band il loro show sarà senz’altro uno degli highlight di questa edizione, quindi fareste bene a non perderlo!
UDO
Sito web ufficiale – http://www.udo-online.de/
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Il “nonno” dell’heavy metal, insieme ai suoi vecchi Accept, si può considerare tranquillamente l’inventore del “power” metal di stampo teutonico! Abbandonati gli Accept nel 1987, il carismatico singer debuttò con “Animal House” nello stesso anno, e da allora niente e nessuno fu in grado di fermare la sua avanzata verso il cuore dei defender più incalliti. Sciolti oggi definitivamente gli Accept, è proprio Udo Dirkschneider, insieme al vecchio commilitone Stefan Kaufmann alla chitarra, uno degli ultimi baluardi e portabandiera di un heavy metal ormai sempre più legato ai bei tempi andati.
PAIN OF SALVATION
Sito web ufficiale – http://www.painofsalvation.com/
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I Pain Of Salvation sono sicuramente il gruppo più innovativo ed intelligente presente al Gods of Metal di quest’anno. La loro collocazione nel bill del GoM, piuttosto che in quello del Day At The Border, sinceramente, non è facilmente spiegabile, visto che i PoS sono molto più assimilabili ad alcuni dei gruppi presenti nella prima giornata per approccio musicale e volontà di innovazione e forse, più di qualsiasi altro gruppo, incarnano il vero spirito di metal di confine. Ma, come appare evidente confrontando i due bill, la suddivisione dei gruppi nelle due giornate deve essere stata fatta più sulla base di considerazioni organizzative piuttosto che sulla effettiva volontà di rappresentare da una parte la scena più tradizionalmente metal e dall’altra quella di metal più moderno e di confine. Comunque, indipendentemente dalla collocazione, l’importante è avere la possibilità di assistere al concerto dei Pain Of Salvation, perché ne vale veramente la pena. Forti di quattro album che hanno rivoluzionato il modo di intendere il progressive metal sdoganandolo da quell’approccio ultratecnico e sterile in cui era stato gettato da gruppi come Symphony X e Dream Theater, anche dal vivo i PoS riescono a dimostrate come per suonare progressive in ambito metal non sia assolutamente necessario essere dei funamboli delle sei o sette corde, ma piuttosto utilizzare un’intelligenza compositiva che ai succitati gruppi manca totalmente. Per questo motivo vi troverete di fronte degli ottimi strumentisti (alcuni dei quali militavano anche nei Meshuggah) che non vi stupiranno con effetti speciali, che non vi ammorberanno con assoli strappa applausi, che non si esibiranno in alcuna lezione di tecnica strumentale, ma che saranno in grado di affascinarvi ed incantarvi con le loro splendide composizioni, la cui complessità esecutiva fatta di controtempi e cambi di tempo viene riproposta dal vivo con una semplicità disarmante. Lasciatevi trasportare dalla bellissima voce di Daniel in un mondo che solo un gruppo della caratura dei PoS poteva essere in grado di creare: i PoS attualmente sono in stato di grazia, e la loro prestazione dal vivo non vi lascerà assolutamente delusi.
ANGRA
Sito web ufficiale – http://www.angra.net/
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Rappresentano, insieme ai Sepultura, la band brasiliana più conosciuta nel mondo, condividendo con i primi gli stessi fasti commerciali. Esordiscono nel 1993 con “Angel’s Cry”, proponendo un power orchestrale da un lato Hellowen-dipendente dall’altro evidenziando una forte personalità a livello compositivo, che li porta in breve a diventare una band di notevole fama. Il successivo “Holy Land” del 1996 rappresenta un tentativo riuscitissimo di amalgamare partiture hard a sonorità etniche, con sontuosi passaggi orchestrali e le vocals di Andre Matos sopra gli scudi, consacrato poi come uno dei cantanti e compositori più preparati in ambito metal. Il vero flop commerciale-compositivo arriva nel 1998 con “Fireworks”, disco che sulla carta avrebbe dovuto mostrare l’eclettismo sonoro del combo, che di contro partorisce un power-hard (a volte dalle lontane reminescenze settantiane) scialbo e confuso, penalizzato da una produzione in analogico che si rivelerà poco adatta per lo stile musicale dei cinque. Nell’estate del 2000 Matos e la sezione ritmica Luis Mariutti e Ricardo Confessori lasciano il gruppo (uniranno le loro forze in seguito nel progetto Shaman) per divergenze musicali, prontamente sostituiti da Felipe Andreoli (basso), Aquiles Priester (batteria) e dal nuovo vocalist Eduardo Falaschi. La nuova line-up incide nel 2001 “Rebirth”, un ritorno alle sonotità di “Angel’s Cry”, con brani dal grande impatto, a scapito della vena progressive dell’era Matos. Giunge nel 2002 l’ep “Hunters and Prey”, cui fa seguito il live “Rebirth World Tour-Live in Sao Paulo” di recentissima pubblicazione, lo stesso che i brasiliani promuoveranno sul palco del Day At The Border.
SHAMAN
Sito web ufficiale – http://www.shamanonline.com.br/
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La band brasiliana altri non è che la reincarnazione di Andre Matos, Luis Mariutti e Ricardo Confessori, ex membri dei famosissimi Angra, che con un solo disco all’attivo hanno saputo conquistare numerosi ed unanimi consensi in tutto il mondo!
Grazie ad un sound che al power metal affianca atmosfere etniche, così come accadde per “Holy Land” (dei già citati Angra), e forti di un contratto con la “nostra” Lucretia Records, gli Shaman sono pronti a calcare il suolo italiano per la seconda volta ed a infiammare tutti i fan che si troveranno sotto il palco del prossimo Gods Of Metal.
THOTEN
Sito web ufficiale – http://www.thoten.com/
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I Thoten – Renato Tribuzy (voce), Frank Schieber (chitarre), Marcos Barzo (batteria), Sidney Sohn (tastiere) e Itho Cruz (basso) – sono una delle nuove realtà della scena metal brasiliana. Sotto la supervisione di Kiko Loureriro (Angra) la band ad oggi ha pubblicato l’album “Beyond the TomorroW” recensito su queste pagine più di un anno fa: il suono è un mix di classic metal, sonorità più melodiche e una buona dose di prog e, a livello internazionale, il gruppo richiama l’attenzione per la capacità di unire il samba e la bossa nova alle voci acute e ai potenti riff di chitarra.
DGM
Sito web ufficiale – http://web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/dgmsite/
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Nati inizialmente come band strumentale, vantano a tutt’oggi quattro album ufficiali ed un mini cd autoprodotto, intitolato “Random Access Zone”, con il quale fecero il loro esordio discografico nel lontano 1994. La band è composta dal vocalist Titta Tani, dal chitarrista Diego Reali, dal bassista Andrea Arcangeli, dal tastierista Fabio Sanges e dal batterista Fabio Costantino. Fautori di un prog-metal molto tecnico ed elaborato di matrice Dream Theater e Symphony X, i DGM hanno via via, nel corso degli anni, allargato lo spettro sonoro di riferimento arrivando ad inglobare, nell’imminente new release “Hidden Place”, citazioni colte estranee al tradizionale bagaglio musicale del metal progressivo (il riferimento va ai “maestri” Dixie Dregs). Tratto distintivo della band ed elemento di continuità con il passato è l’altissimo livello tecnico dei vocalist che si sono avvicendati nel gruppo: Luciano Regoli, personaggio cult del prog-rock italiano degli anni ’70 (celebre per le sue colaborazioni con Raccomandata Ricevuta Di Ritorno, Samadhy, Ritratto Di Dorian Gray), è la voce dell’esordio (su etichetta Elevate) “Change Direction” del 1997 e del successivo “Wings Of Time” del 1999. Con il terzo full-lenght, “Dreamland”, datato 1999, il suo posto viene preso da Titta Tani, uno dei cantanti più dotati del panorama prog italiano, attivo anche come batterista-session man per i Necrophagia e per i Daemonia di Claudio Simonetti. L’esibizione al Day At The Border sarà l’occasione giusta per saggiare l’impatto live delle nuove composizioni, inaugurando uno dei comeback discografici più attesi dell’anno, per la realizzazione del quale si sono avvalsi dell’aiuto di Giuseppe Orlando (Novembre) e del lavoro di mastering effettuato negli studi svedesi Mastring Room (gli stessi di In Flames, Soilwork e Meshuggah).
PREZZI E PREVENDITE
Prezzo dei biglietti:
A DAY AT THE BORDER: 40 euro + diritti di prevendita
GODS OF METAL: 40 euro + diritti di prevendita
Abbonamento A DAY AT THE BORDER + GODS OF METAL: 60 euro + diritti di prevendita
Prevendite:
I biglietti sono già in vendita su www.ticketone.it e nelle prevendite abituali.