ACCEPT: il nuovo “The Rise Of Chaos” traccia per traccia!

Pubblicato il 10/07/2017

A cura di Dario Onofrio

Sembrava che gli Accept avessero trovato finalmente una line-up stabile con la resurrezione da parte del loro leader Wolf Hoffmann nell’ormai lontano 2010, invece l’anno scorso l’inaspettato abbandono di Herman Frank e Stefan Schwarzmann aveva gettato molti fan della band nello sconforto. Arrivavano quindi Uwe Lulis (ironicamente, ex Grave Digger) alla chitarra ritmica e Christopher Williams (War Within, ex Meatcurtain) alla batteria, i quali dovevano raccogliere il testimone di due musicisti giganteschi, reduci da tre album uno migliore dell’altro. Fortunatamente i dubbi sono stati dissipati dal live album “Restless And Live”, che presentava la nuova formazione nel contesto del Bang Your Head, noto festival puramente heavy delle lande teutoniche. Ma se la resa live andava bene, come poteva essere quella in studio? Eccoci arrivati ad oggi e all’annuncio di “The Rise Of Chaos”, quindicesima prova in studio della band teutonica ormai lontana dagli sbrilluccicanti anni ’80 e lanciata verso la modernità, perennemente alle prese al confrontarsi con sé stessa e con ciò che ha rappresentato in passato. Il leader Wolf Hoffmann non nasconde la sua centralità in questo disco: come molti di voi sapranno, durante lo show del Wacken 2017 che li vedrà protagonisti nella Night To Remember verranno pure suonati dei suoi pezzi solisti. Da qui una sua visione/intuizione per descrivere le tematiche del lavoro: una sensazione di come il mondo, semplicemente, stia andando incontro alla distruzione per mano stessa dell’umanità, ma senza voler giudicare o puntare il dito contro qualcuno. Wolf e soci vogliono soltanto raccontare questa disgregazione come solo gli Accept possono fare: con riffoni sparati a mille, un Tornillo indiavolato e la parte ritmica che dialoga sapientemente con i solisti amalgamata dal basso di Peter Baltes. Una band così importante nel pieno di un cambiamento così radicale come quello di line-up non può non meritare un dettagliato track-by-track in un disco che, complice l’ormai ottima collaborazione con Andy Sneap alle registrazioni, non mancherà di farvi fare delle assidue scapocciate. Nonostante questo, noterete come l’oscurità e la ‘pesantezza’ delle situazioni raccontate spesso pongano di fronte a dubbi e non lascino quella sensazione di esaltazione genuinamente heavy dei dischi precedenti… Dubbi ai quali si può comunque rispondere con un devastante assolo di chitarra solista.

ACCEPT
Wolf Hoffmann – chitarra solista, backing vocals
Peter Baltes – basso, backing vocals
Mark Tornillo – voce
Uwe Lulis – chitarra ritmica
Christopher Williams – batteria

THE RISE OF CHAOS
Data di Uscita: 04 agosto 2017
Etichetta: Nuclear Blast
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01. DIE BY THE SWORD (05:01)

La traccia si apre con le decise schitarrate di Wolf e Uwe, in pieno stile ottantiano, per poi introdurci il riff principale di questi primi 5 minuti di disco. Come sempre la voce di Tornillo entra dopo poco, regalandoci una atmosfera battagliera che fa acquietare per pochissimo gli altri strumenti e ripetendo poi la strofa fino all’epico chorus. ‘Se vivi per la spada, morirai per la spada!’, vi viene in mente qualcosa di più heavy? Il basso martellante di Peter, mai in secondo piano rispetto agli altri, macina instancabile fino all’assolo magistralmente interpretato dalla chitarra solista. Sfidiamo chiunque a non cantare il ritornello! Tutto si chiude con una strofa interrotta magistralmente dalla batteria di Christopher Williams. Certo, è solamente un po’ strano sentire un pezzo come questo, a metà tra il tirato e il lirico, per una band come gli Accept che ultimamente ci hanno abituato a opener sparate a mille, ma in breve tempo ci si fa l’abitudine.

2. HOLE IN THE HEAD (04:01)

Un riffing hardrockeggiante apre le danze in questo secondo pezzo, dalle tonalità più oscure e con un tempo meno sostenuto del precedente, mentre Tornillo introduce un cantato adattissimo all’atmosfera che si snoda tra i suoi tipici urli fino a dei toni quasi misteriosi. Anche qui gli Accept ci regalano molto sul ritornello, mettendo in risalto il lato a metà tra il ‘romantico’ e il ‘metallico’ del pezzo: ‘I need you like a hole in the head’, questo cantano i nostri mentre gli strumenti rallentano in favore della voce del cantante… Immaginandosi forse un amore non corrisposto? O una storia finita in una relazione tossica? Nell’assolo, inoltre, è da segnalare l’ottimo lavoro di scambio tra Uwe e Wolf.

03. THE RISE OF CHAOS (05:17)

Se qualcuno ascoltasse gli Accept per la prima volta si renderebbe subito conto di come funzioni la loro musica grazie a questo pezzo: batteria e basso martellano sotto il riffing dei chitarristi in un devastante unisono, prima di un brevissimo stacco per spezzare una strofa dall’altra. L’idea di rompere la traccia in diversi momenti si traduce sia in stacchi di batteria che in brevi assoli, che accompagnano pian piano tutto il pezzo prima dell’esplosione del devastante ritornello, indubbiamente da urlare a squarciagola. “The Rise Of Chaos” è una bordata heavy di derivazione simile a molte altre canzoni degli Accept, ma senza premere il pedale dell’acceleratore (sono lontani, d’altronde, i tempi di “Fast As A Shark”), cosa che da un certo punto di vista lascia un po’ a bocca asciutta per una band che fino al disco precedente non era mai indietreggiata di fronte alla potenza della titletrack… Ma in fondo chiudiamo un occhio di fronte a una varietà compositiva così ben strutturata. Bella anche l’idea, con il testo, di descrivere la situazione del mondo moderno.

04. KOOLAID (04:58)

Un pezzo che vi farà saltellare parecchio e sicuramente uno dei più riusciti del disco. Si parte con una manciata di scale suonate da Wolf per poi introdurre la voce di Tornillo che si appoggia a un ottimo lavoro della coppia Peter/Christopher. Mentre Wolf e Uwe svolgono un lavoro di accompagnamento, mantenendo brevi schitarrate fino all’assolo, il basso si prende un posto di tutto rispetto sotto a ques’ottimo lavoro ritmico, consentendo anche a Tornillo di lanciarsi in una parte molto blues e alla solista di poter riprendere le scale con una interessante variazione verso l’alto. Non può mancare un cambiamento di riffing sotto all’ultima strofa, nello stile a cui la band teutonica ci ha sempre abituati, con il cantante che non si risparmia a lanciare i suoi urli selvaggi. Qualche parola va spesa anche sul significato della canzone: ‘Don’t drink the kool-aid’ è un modo di dire americano che indica come spesso un gruppo di individui cambi idea in base alle pressioni esterne o addirittura segua i suoi pari in comportamenti appartentemente folli, dettati da ragioni esterne come la popolarità.

05. NO REGRETS (04:20)

A metà disco arriva una sana bordata heavy che alterna cariche eseguite all’unisono con parti dove la voce di Tornillo è lanciata sopra un tappeto di lunghe note di chitarre, alternate a originali stacchi di una batteria intenta in un certosino lavoro sui piatti. Una composizione che gli ascoltatori più abituali della band riconosceranno come una firma aggiuntiva del mastermind Wolf Hoffmann, non derivativa ma nemmeno troppo lontana dalla considerazione musicale del combo teutonico. Dopo gli assoli inoltre arriva un elemento che fin’ora era mancato: il tipico stacco epico dove chitarra e voce vengono lasciate sole per ispirarci l’atmosfera di chi si fa domande, guardando indietro in una vita dove pensa di non aver avuto rimpianti. Un pezzo davvero cattivo che in sede live non mancherà di macinare teste.

06. ANALOG MAN (04:10)

Altro pezzo rockeggiante che vi farà saltellare. Un riffing che ricorda molto certo hard rock introduce una storia a noi familiare, se conosciamo bene gli ultimi dischi del combo teutonico: quella di chi vive in questo mondo moderno senza curarsi della tecnologia e dell’innovazione. ‘I’m an analog man, trapped in a digital world’, questo urla il buon Tornillo nel ritornello. Fantastica pure la parte verso il terzo minuto che stacca completamente dagli assoli, dove Wolf accompagna il cantante regalandoci l’ennesima prova di lirismo che da la giusta carica prima della fine del pezzo. Tra cori, voci con eco e altre soluzioni, sarà sicuramente una delle migliori tracce dal vivo di questo album.

07. WHAT’S DONE IS DONE (04:08)

Come per “Twist Of Fate” e “The Curse” non può mancare una canzone sul destino su “The Rise Of Chaos”: ‘Ciò che è fatto è fatto, il proiettile lascia la pistola’. Una cavalcata heavy in semplicissimo 4/4 lanciata per la sua breve durata, che parte con il riffing a cura di Wolf a cui in breve si aggiunge quello di Uwe. Le carte in tavola cambiano con l’intervento di Tornillo, stavolta marcato stretto dagli altri strumenti che seguono le sue note regalandoci un ottimo unisono. Come avrete avuto modo di notare leggendo i titoli sembra che da questa canzone in poi sia una discesa nell’oscurità nelle lyrics made in Accept.

08. WORLDS COLLIDING (04:29)

La “Dark Side Of My Heart” di questo disco è proprio questo pezzo, che inizia con un riffing che accompagna i solos di Wolf sui quali poi va ad inserirsi Tornillo, inframezzato dalle soluzioni di inizio pezzo mentre ci racconta di un uomo ‘spezzato in due’, con due mondi che ‘collidono dentro di lui’. A tenere banco qui è il bel riff lasciato a Uwe Lulis, che regge bene la situazione sino a fine pezzo lasciando il tempo agli altri di potersi esprimere come meglio credono, in una ritmica che non può non ricordare sia il pezzo sopracitato che altri capitoli della discografia acceptiana.

09. CARRY THE WEIGHT (04:33)

In assoluto la canzone più old-school del disco. Ve ne accorgerete subito ascoltando non tanto la lanciatissima intro ma soprattutto il riff che viene subito dopo, in un crescendo che ricorda assolutamente i vecchi fasti del combo teutonico. Questo almeno fino al ritornello che mantiene comunque una certa dose di modernità, soprattutto quando il tutto si fa più lirico mentre Tornillo ci invita a ‘non tenere il peso del mondo sulle nostre spalle’. Anche qui viene ampiamente recuperato il discorso dello stacco lirico sul finale, valore aggiunto in un pezzo dove le alternanze d’atmosfera la fanno da padrone.

10. RACE TO EXTINCTION (05:25)

Ritorniamo prepotentemente sulle ritmiche del settimo pezzo, con un Tornillo che urla a più non posso accompagnato dal 4/4 degli altri strumenti. Una atmosfera che chiude le tematiche iniziate con “The Rise Of Chaos”: la razza pronta ad estinguersi per aver osato troppo viene accompagnata nella fine dal come al solito martellante basso di Peter e da un Wolf che più volte segue la linea vocale del cantante, in un devastante crescendo e un chorus talmente cattivo da sembrare quasi un pezzo thrash metal! Il tutto viene chiuso dalla batteria forsennata che alla fine ci carica direttamente prima di chiudere il tutto senza troppi problemi accompagnando il ritornello finale. La cattiveria della canzone chiude un disco che, come scritto sopra, non ci lascia però quel senso di esaltazione che i precedenti tre dischi erano riusciti a far emergere in noi ascoltatori. Sarà che è un disco più oscuro, sia come tematiche che come suoni, sarà il cambio di line-up… Ma parliamo sempre degli Accept: comunque ottimo heavy vecchio stampo valorizzato dalla moderna produzione della Nuclear Blast.

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