ADRIAN SMITH e RICHIE KOTZEN: il nuovo “Smith/Kotzen” traccia per traccia!

Pubblicato il 04/03/2021

A cura di Andrea Raffaldini

Adrian Smith, storico chitarrista degli Iron Maiden, e Richie Kotzen, musicista straordinario e conosciuto non solo per la sua militanza nei Poison, Mr. Big e The Winery Dogs, ma anche per la sua corposa discografia solista, hanno stretto un sodalizio che si è concretizzato con la pubblicazione di questo interessante disco, intitolato semplicemente “Smith/Kotzen”. I due artisti oltre alle chitarre, si sono divisi tutte le parti di basso e dietro al microfono, con Kotzen impegnato anche a suonare la batteria. Un paio di ospiti speciali (Nick McBrain degli Iron Maiden e Tal Bergman, membro della line-up che accompagna Richie in tour) hanno contribuito ad impreziosire ulteriormente un lavoro che mischia ingredienti di rock, hard rock e blues in modo da far emergere tanto groove ed energia.


SMITH/KOTZEN

Adrian Smith – Chitarra, basso, voce
Richie Kotzen – Chitarra, basso, voce, batteria
Nicko McBrain – Batteria su “Solar Fire”
      Tal Bergman – Batteria su “You Don’t Know Me“, “I Wanna Stay” e “‘Til Tomorrow“

SMITH/KOTZEN
Data di uscita: 26/03/2021
Etichetta: BMG
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TAKING MY CHANCES (4:56)
Il brano di apertura del disco mostra subito i muscoli, i due chitarristi attaccano con riff solidi che fungono da struttura portante per forgiare un bel sound hard rock dalle tinte squisitamente americane. “Taking My Chances” possiede un sound forse più vicino allo stile di Richie Kotzen, a cui Smith si amalgama in modo perfetto. Le parti vocali sono divise equamente, entrambi al microfono offrono una buona performance. Il ritornello è molto orecchiabile e radiofonico, non a caso questa canzone è stata scelta per realizzare un videoclip. La parte finale è dedicata agli assoli di chitarra, Kotzen suona in modo più virtuoso di Smith, che si cimenta in un solo meno funambolico, ma sempre di impatto.

RUNNING (4:17)
Rispetto al capitolo precedente, “Running” aumenta il ritmo, le strofe sono più incalzanti, ma la sostanza non cambia. Anche questo pezzo si colloca su coordinate hard rock, roccioso nelle strofe, più melodico e catchy nel refrain che entra subito in testa. Ancora una volta Kotzen e Smith durante le loro parti soliste non vogliono strafare, dando invece precedenza a tutto il loro gusto per gli assoli. Il pezzo appare molto lineare, semplice e diretto, ma proprio per questo motivo risulta senza dubbio efficace e piacevole all’ascolto.

SCARS (6:19)
Con “Scars” emerge l’amore per il blues del duo. Il pezzo parte con un arpeggio molto delicato, sui cui le voci esprimono il massimo della loro sensualità. Il sound ci ricorda il miglior Joe Bonamassa, così come gli assoli che completano tutta la canzone. Anche in questo caso, per il ritornello vengono scelte delle melodie molto semplici ed immediate, ma l’elemento più importante è proprio il gioco di chitarre, che suonano calde e con un alto grado di intensità. A questo punto dell’ascolto, “Scars” è la composizione più interessante, quella che riesce a trasmettere le emozioni più forti. In questo frangente le parti di Smith vincono il duello ‘in amicizia’ perché meglio si sposano con il groove del brano.

 

SOME PEOPLE (4:21)
Hard rock e blues vanno ancora a braccetto su “Some People”, finora il momento più standard dell’intero lavoro. Non si tratta di certo di un brano debole o di un semplice riempitivo, ma all’ascolto appare più canonico, non altrettanto ispirato come i suoi predecessori. Nulla da criticare sulle parti di chitarra, qui Kotzen si sbizzarrisce maggiormente.

GLORY ROAD (4:53)
La magnifica coppia torna ad incantare con “Glory Road”, altra chicca di blues rock, ma di tutt’altro livello rispetto alla canzone precedente. Le voci scaldano l’atmosfera ed i riff ci fanno battere il piede a tempo quasi involontariamente, in special modo durante il ritornello bello magniloquente e perfetto per essere cantato dal pubblico durante i concerti. Gli assoli, lo ribadiamo per l’ennesima volta, costituiscono la ciliegina sulla torta che alzano il livello generale dell’ascolto, in particolare Smith ci sbatte in faccia tutta la sua classe.

SOLAR FIRE (4:28)
Dopo un bel po’ di blues, i nostri tornano a ruggire con un’altra bordata di hard rock, con Kotzen al microfono che spinge la sua voce, tanto da ricordarci il compianto Chris Cornell. Il ritmo andante e l’accelerazione della parte finale di questa ottima canzone sprigionano adrenalina a dosi letali, molto sentito anche il duello solista al termine del brano. Su “Solar Fire” alla batteria troviamo un altro membro degli Iron Maiden: Nicko McBrain infatti è giunto a dare man forte al suo compagno di band. Cos’altro aggiungere, se non che il picchiatore della Vergine Di Ferro fa sfoggio di tutta la sua versatilità ed il suo stile inconfondibile dona ulteriore dinamicità al pezzo.

YOU DON’T KNOW ME (7:13)
Il brano più lungo del disco si presenta come un midtempo più atmosferico caratterizzato da lunghe parti strumentali di chitarra in cui Kotzen e Smith si lasciano andare come se stessero suonando in una jam session. Se la prima parte propone un classic rock senza tanti nastrini di abbellimento, la seconda metà della canzone torna a ‘sporcarsi’ di tinte bluesy con lunghissimi assoli. La sei corde funge da protagonista indiscussa ed è un vero piacere lasciarsi trasportare dal talento di questi due grandiosi musicisti.

I WANNA STAY (5:12)
Se non una ballad poco ci manca, “I Wanna Stay” è il pezzo più soft e dolce del disco. Il sodalizio tra voci e chitarre continua a regalare forti emozioni. Se il canto punta sulla componente atmosferica, quando viene lasciato spazio alle sei corde, la band esprime il meglio non tanto in termini di tecnica, quanto per il gusto, non c’è nemmeno una nota fuori posto, ogni assolo è calibrato per esprimere al meglio le melodie.

‘TIL TOMORROW (5:38)
Siamo al capitolo finale, Adrian Smith e Richie Kotzen si congedano con un’ultima fiammata di hard rock. Ancora una volta ritorna lo spettro di Chris Cornell, perché il ritornello di “‘Til Tomorrow” ricorda vagamente “Arms Around Your Love”, brano dell’indimenticata voce dei Soundgarden. Il gran finale non poteva non essere lasciato alle chitarre, che per due minuti abbondanti si intersecano a suon di bordate soliste.

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